Tutti noi abbiamo delle convinzioni. Che derivano dal nostro percorso, e sono proprio nostre. La chiesa, per chi la frequenta. La famiglia, la scuola, il luogo di lavoro. Ci influenzano, ci stimolano, ci propongono valori, sistemi di causa ed effetto, opinioni, convinzioni. Già, convinzioni. Perché quel che capita è che, nel confronto con l’altro – da quando il nostro modo di stare al mondo, e di pensare, s’è fatto maturo e s’è cristallizzato, diventando monolitico – spesso non facciamo altro che tentare di rafforzare, ad ogni modo, la prospettiva del mondo e delle cose che abbiamo fatto nostra, e che ci connota. Invece di aprirci alle idee altrui, le respingiamo. Invece di metterci costantemente in discussione, insistiamo nel tentativo disperato di autoaffermarci continuamente, quasi che cambiare idea sia peccato capitale, quasi che il vacillare d’una certezza sia per forza indice di debolezza, e mai invece di sagacia, mai di curiosità, mai d’onestà intellettuale. Ecco com’è nata l’idea di questa rubrica. Dove, per autoaffermarmi, esporrò convintamente quel che non penso; sarò io stesso il terremoto dei miei propri convincimenti, e chissà che facendolo non cambi idea sulle cose e sui fatti che mi circondano, che le idee che ho sempre fermamente rigettato al mittente non facciano breccia nel mio pensiero, e mi ritrovi in breve tempo fascista, antisemita, sessista e omofobo e ateo e abortista. Chissà che, in fin dei conti, non mi stia sbagliando da una vita, e gli altri abbiano avuto sempre ragione. E’ questo il mio cattivo proposito. E per portarlo avanti, dovrò intingere la penna nella merda. Sarò molto cattivo, molto poco educato, e fin troppo scorretto. Chissà che poi non mi sembri, infine, che l’inchiostro profumi.