Scampoli di Pensieri

Incrocerai occhi, strade, vita.

Ma tu, tu cerca di essere come il velluto.

Verranno a te, e a te racconteranno le loro storie e non sarà facile. Avranno delle ferite aperte che quotidianamente bruciano e mai cicatrizzeranno, mai finiranno di far male. Avranno gioie, abbaglianti, che custodiscono nei cassetti dei ricordi e ogni tanto vanno a riguardare con gli occhiali della malinconia.

Cerca di essere come il velluto e chiedere il permesso di entrare nelle loro vite, nelle loro storie, lascia che siano loro a raccontarsi, se ne avranno voglia, e lascia che siano loro, soprattutto, a scegliere cosa raccontarti.

Queste storie sono ricordi, questi ricordi sono ferite, queste ferite sono aperte. E non abbiamo il diritto di scuotere ferite che non sono nostre.

Mettiti in ascolto, questo basterà.

Tu sei velluto.

Mi manca terribilmente tutto questo. A quelle pietre io appartengo, a quei portoni e ai cortili che ci sono dietro, a quelle piazze e a quell’aria, a quelle vie, alle chiese, ai musei e ai teatri. Appartengo al vento di mare che si insinua nei vicoli del centro storico, alla confusione di Toledo e Chiaia e alla penombra di Luca Giordano. Io non sarei se lei non fosse Napoli.

Quanto basta… Diventa quasi un mantra.

Quel cercare di capire quando è il momento di fermarsi, di osservare, di ascoltare, di dire quello che si pensa veramente, o semplicemente attendere “quanto basta”.

Ma perché ci si deve far bastare qualcosa? Chi può deciderlo veramente?
Gli strani algoritmi della vita, dell’esperienza, del tocco di una mano, di un gesto non annunciato, di uno sguardo, quei rintocchi di tempo che solo io potrò mai fare miei, saranno loro a dirmi tutto.

A dirmi “quanto basta”.

E la vita sembra quasi una ricetta, una di quelle scritte nel quaderno di nonna, e leggere quel “q.b.” mi fa letteralmente infuriare.
Quello che basta per te, non è detto che basti per me.
Io basto a me stessa, con quel giusto pizzico di sale e pepe.

E mi stupisce di come la volontà buona cambi le cose, cambi il modo d’esistere, i luoghi e le persone.
Di come la volontà buona cambi i sistemi, i modi di pensare e renda magicamente unici gli intenti diversi.
E mi stupisce di come il lavoro duro e temprante renda sempre più forti e sicuri e liberi e veri.
E poi mi rasserena questa sera azzurra come tante eppure così profondamente diversa.
E mi stupisco.

Scrivere è come fare l’amore.

La cosa divertente è che lo fai con perfetti sconosciuti.
Numero imprecisato.
Non sai neanche se godono, come godono.

Scrivere è come fare l’amore, senza l’ansia da prestazione.

La cosa sorprendente è che non ha età.
Non esige una durata, un tempo, un luogo.
È per tutti.

Scrivere è come fare l’amore, senza l’ansia da prestazione, sicuri di andare bene.

Scrivere ha i suoi vantaggi.

Il problema è che esistono scrittori che non sanno scrivere, e quando li leggi ti ritrovi a pensare a come ridipingere le mura della camera.

Ho messo una vita a capire.
Ho messo una vita per una scommessa con l’altro mio io competente e austero.
Ho messo una vita per dirglielo, è vero. Una vita di stenti e cambiamenti placati dal dolore.
Un tuffo in fondo al rumore di quest’aria malsana che sgrana e scompone le cose.
Ho messo la vita in disparte e credo.
Ti amo.

Non è un buon giorno per parlare di nulla, non è il caso, non è il momento. Non c’è motivo, non c’è fretta, non è opportuno. Non mi andava, non mi va. Oggi no. No. No. NO. Oggi è un buon giorno per togliere rumori di sottofondo, fastidi latenti, pulci nelle orecchie, pungenti etichette dietro il collo. Togliere, togliere, rendere tutto piú possibile fluido ed essenziale. Oggi va bene sostare, giacere, riposare, aspettare, osservare, ascoltare. E soprattutto tacere.

La bua è una problematica seria. Molto seria.
Il viso corrugato, l’espressione sofferente, il labbro tremante.
Cosa ti sei fatta amore mio? Chiedo io.
Una bua, mi risponde mia figlia, e aggiunge: devo guarire.
Il suo ragionamento non fa una piega.
Ha due anni e capisce perfettamente che quel piccolo graffietto ha bisogno di cura e di tempo perché le piastrine facciano il loro lavoro e rimarginino la ferita, la sua pelle torni liscia e il suo umore sereno.
Perché nessuno è immune di sbagliare.
Perché siamo tutti esposti anche se ci nascondiamo.
Perché una vita senza battaglie, vinte o perse che siano, ha poche storie da raccontare.
Quanto sappiamo guarire noi adulti? Quanto ci prendiamo cura delle nostre piccole e grandi ferite? Ci diamo il tempo giusto per recuperare?
Perché la pelle torni liscia e il nostro mondo sereno.