Scampoli di Pensieri

Ho deciso di viaggiare. Non importa dove. Meglio se sola. Non voglio farlo per scappare, non ho bisogno di evadere dalla mia quotidianità. Voglio farlo per riempirmi gli occhi di colori, voglio assaporare suoni nuovi, voglio godere dell’infedeltà dei miei passi che toccano giorno dopo giorno strade diverse di città di diverse di diversi paesi. Ho deciso di dimenticare i soliti amici per degli sconosciuti. Fatemi spazio che devo partire.

L’attore è il più bravo illusionista, sulla scena scompare, si dimentica; poi ci sono i narcisi ma quella è un’altra storia. Il palco non è un campo di fiori, è un luogo di verità, verità che passa attraverso l’arte. Oggi tanti: “Vado a vedere l’attore Tal De’ Tali”, pochi: “Vado a vedere l’Amleto di Shakespeare”, e questo è un problema. A teatro dovremmo pretendere storie non recitazioni.

Imparare a stare da soli. A fare a meno degli altri. A rinchiudersi dentro la corazza per difendersi e recitare un mantra “non mi fai male, non mi fai male, non mi fai male”. L’esperienza non insegna, bisogna rifare gli stessi errori, fidarsi, concedersi, illudersi. E poi sanguinare. E allora bisogna imparare di nuovo, ogni volta, a stare soli. A respingere chiunque. A stringere la corazza, mentre si vorrebbe solo amore.

ma quante vite si hanno in 50 anni? e come mai si ricordano sempre solo le ultime, e le altre, che pur son diventate pelle e rughe, sembrano appartenere a qualcun altro?

Una musica dietro, un lamento lontano… i nostri fantasmi. Eh già, sono tutti presenti in questo tempo senza ore, e mi inseguono, distogliendomi di giorno con suoni intensi e voci stridule, e svegliandomi la notte, nel buio cercare difese dentro profonde regressioni fetali, per trovare, infine, silenzio embrionale dov’è vita…nient’altro.

Ci sono momenti dove un blocco ti paralizza. Non riesci a muoverti e fingi di non sapere cosa fare. Invece lo sai. Qualcosa che devi fare da troppo tempo, l’unica cosa, adesso, che potrà tirare il filo nel punto giusto e mille nodi aggrovigliati si scioglieranno d’incanto. Allora falla. Non dire nulla, dismetti alibi assolutori e sensi di colpa inutili: fai la cosa giusta. Take care. E poi verrà il tempo della cura. Perché non è detto che si debba per forza toccare il fondo prima di risalire; ma neanche che, dopo il fondo, se non si inverte l’inerzia della caduta, poi non si possa scendere ancora…

Succede quando meno te l’aspetti. Te lo dicono tutti, ma non ci credi. Sbatti la testa contro ogni muro chiedendoti perché agli altri risulti sempre tutto facile e tu invece devi arrancare anche solo per un riconoscimento banalissimo. Poi dal nulla, un giorno, leggendo un libro, ti viene un’idea, che con quella lettura non ha proprio nulla a che fare. Un’intuizione che apre la strada a qualsiasi evenienza, occasione, ricerca. Benvenuta. 

Via Adelasia era la via dei drogati. Il passaggio era interdetto. Una via che on era una via, ma una scalinata immersa nel verde, quel verde complice di chi per evadere sceglieva qualche grammo d’eroina. Erano gli anni ’80, gli anni in cui spopolava Christiane F. Gli anni in cui io, poco più che settenne, ero affascinata dai gradoni di via Adelasia. L’ho attraversata solo un paio di volte, e sempre con la voce di mamma che mi tuona “lì no, non si passa, ci sono i drogati!“

L’istinto è quella vocina che ti dice “non fidarti! non fidarti!” e alla quale tu crederesti pure. Se non fosse che hai letto da qualche parte che fidarsi è una cosa buona, che non ti fa venire la gastrite e che ti fa vivere meglio. E allora che fai? Non ti fidi? Certo che ti fidi. Dunque a fine giornata, grazie al fatto che non hai dato retta al tuo istinto, si accumulano una serie di decisioni prese che, lungi dall’essere buone, si rivelano proprio idee del cazzo.