Paolo Vecchione

Sono. Chi sono? Sono figlio illegittimo di madre natura. Figlio del tempo che non s’aspetta. Figlio sbagliato che non si corregge mai. Anche se erra. E quando corre, si narra, alza il capo in cielo e sputa in terra. Resta figlio, quel che sono io. Forte sbadiglio, spiraglio di uno sbaglio, cospicuo inizio di un abbaglio preso nell’ora del conguaglio. Resto chi sono. O forse vado via. E sì. Ritorno a ritmo lento, ballando su di un piede, con tutto il mondo attorno che si siede.

Non c’è dubbio, è questo il punto, sulla nascita di un dio. Il pericolo imminente manda tutti nell’oblio. Pesce gatto, lupo solo, la civetta prende il volo. Non esiste cane al mondo che si fidi un po’dell’uomo. Questo è tutto e hai detto niente, questo è il trucco del serpente. Una volta a settimana, e non sa se se ne pente, forse meno, forse più, ingerisce la sua preda e non vuole che ella ceda. Nessun dubbio vien spazzato, come nuvole in autunno. Vento forte a primavera, con i fresco fino a sera. Volpe, allodola e capretta, quel che vuoi non ti spetta.

Non esisto, non esisto! Mi dileguo per quel poco che rimane. Luci ed ombre le sostengono gli idioti. Idoli e miti. Nulla più rimane senza un racconto tradizionale. Non esisto. Mi trovavo nel Wisconsin sconsolato come Fonzie. Non saprei (dire) a cosa pensavo. Riflettevo, camminando, circa i vizi della vita. Potrà mai un cavaliere trionfare nella corsa campestre? I tetti costruiti all’incontrario lasciano mirare le stelle? Restavao allucinato alla luce del mattino. Terminate le domande, scomparivo piano – piano. Non esisto, non esisto!