Nessuno salvi nessuno
Storia di successo e insuccesso. Dipende sempre dai punti di vista.
Si avvicinò a me, e avendo una vita fatta di altrui vessazioni e personali paure di non piacere al mondo, mi chiese aiuto per venire via da tutte le bugie, gli imbrogli, le mistificazioni che era costretta a vivere.
Mi mise in prima linea nella sua battaglia.
Mi fece addirittura combattere la sua battaglia.
E io combattei strenuamente per quel dolore disperato fatto di assenza di libertà e di diritti (storicamente già acquisiti ma, in realtà, mai esatti). Lottai per quella necessaria indipendenza emotiva ed intellettuale perché finalmente la sua vita avesse inizio. Era già grande, molto grande, ma viveva come un’esistenza in prestito. Viveva per interposte persone, senza scegliere mai. E poiché la vita è fatta di scelte, non scegliere significa non vivere, ma annaspare nel letto di un fiume pieno più di detriti tossici che di acqua.
Per non distrarmi dal cuore racconto, sorvolerò sull’intensità con la quale ho combattuto per rispondere ad un grido d’aiuto. Se questo fosse un romanzo, quella sola parte sarebbe di diritto il lunghissimo sequel.
Mi mise in prima linea nella sua battaglia
Ovviamente, come è naturale che sia, per combattere una qualche battaglia, premessa necessaria è abbandonare la zona comfort e mettere in discussione rapporti, relazioni, convenzioni e convinzioni. Da qui bisognava partire. Ma gli intenti erano subdolamente diversi. Le posizioni sul terreno di guerra erano fuori asse e senza equilibrio. Lo sforzo ìmpari. Io in avanscoperta. Io in prima fila. Io in difesa. Io a dettare gli attacchi. Io a sferrarli. Il “noi” necessario per una battaglia nella quale io dovevo essere solo supporto, era diventato “Àrmati. Parti. Combatti. Io guardo da qui”. E dunque, nonostante le mie mani sanguinanti, nonostante le vicissitudini di malattia e morte che dovetti affrontare da par mio e in solitaria, nonostante io non avessi mai ceduto il passo al sopruso di cui mi veniva narrato – nonostante fossi a brandelli – non c’era progresso.
Un fiume pieno più di detriti tossici che di acqua
Le vessazioni da lei subite erano sempre più imponenti e soprattutto erano, davanti all’usurpatore, accettate, mentre dietro, di nascosto, al riparo da occhi che potevano giudicare, erano condannate con lucidità e precisione chirurgica, segno che la centratura sui propri diritti era adamantina. Ed io dovevo combattere anche tutta la sua incapacità di reagire. E ogni volta dovevo ricominciare da zero una battaglia asfissiante per fare luce sui diritti inalienabili dell’uomo. Io, da sola, piegata dal corso degli eventi e dalla fatica immane – e inutile – che stavo sopportando, mi ero concentrata esclusivamente su tutto questo con una dedizione cieca, quasi senza vedere gli alibi, senza vedere il gusto sadico dei vampiri di succhiarti sangue, sudore ed energia.
Io avanzavo ma lei non mi seguiva: nessuna azione veniva posta in essere. Solo mi tratteneva ore e giorni interi ed anche anni per lamentarsi delle mie strategie inefficaci, vittimizzandosi per la sua sorte barbara. Ma a testa china, davanti ai “padroni”, rispondeva “obbedisco”. L’obiettivo era ormai chiaro: la richiesta d’aiuto a me era per dimostrare la fallace volontà di cambiare; il mio sacrificio sull’altare delle donne libere era per dimostrare che tutto era stato provato ma senza esiti; avere un testimone della proprio miseria era per accettarsi senza rimpianti.
E poiché la vita è fatta di scelte, non scegliere significa non vivere
Io dovevo combatte la sua guerra, una guerra di libertà, peraltro già vinta a queste latitudini, con anche troppi morti caduti per l’ottenimento di diritti così scontati da non dover mai essere neanche normati. E mentre io facevo questo – una guerra fuori tempo massimo – lei rimaneva seduta in poltrona a guardare, a dirmi “Non ce la farai”.
Non so quante donne sono morte per rendere le donne e gli uomini liberi.
Non so quanti uomini sono morti per lo stesso motivo.
In generale non so quante persone sono morte per concederci le libertà che abbiamo e che nessuno, a parte i propri convincimenti, può mettere in discussione.
Fa male al cuore e alla memoria dover credere che per qualcuno, quelle morti siano state vane. Già le morti in battaglia sono morti terribili, se sono anche vane…
Avere un testimone della proprio miseria era per accettarsi senza rimpianti
Poi, finalmente, molto tempo dopo, e con le scapole consumate dal peso dell’ignoranza, capii: il vero problema non era colui che vessava, di fatto non aveva nessun potere né polico, né militare, né fisico, né economico. La sottomissione era una scelta del sottomesso. Di lei. Salvarsi sarebbe stato un attimo. Sarebbe bastato fidarsi di sé. Spesso non è semplice lo so, ma la colpa non può sempre essere degli altri. Anzi, a ben vedere non lo è quasi mai.
Ma si sa: gli irresponsabili questi sono.
All’alba del terzo, inutile, anno di lotta quotidiana:
-Ma tu non puoi lamentarti, piangere, assediarmi, chiedermi aiuto, levarmi la pace, e poi quando si tratta di prendere una semplice giusta e lineare decisione torni al “sissignore”.
-E cosa devo fare?
-Devi dire di no. E non devi dare spiegazioni. Hai il diritto di scegliere cosa fare, con chi, dove vivere, dove andare, cosa pensare e come realizzarlo. E non devi giustificarti. Se non dai seguito al mio lavoro tra un po’ sarai nella categoria degli anziani senza mai passare per quella degli adulti.
-E non ci riesco…
Ma si sa: gli irresponsabili questi sono
-Se vuoi cambiare le cose devi avvalerti di uno strumento che almeno qui da noi ti è riconosciuto: il diritto. E poi ci sono io. Però se vuoi solo lamentarti per avere compassione, io invece non voglio esserci più. Se non avessi scelta, se avessi bisogno delle forze dell’ordine, di un’ambasciata dove nasconderti, di un asilo politico da chiedere, di una rete di protezione, non smetterei mai di farti avere ciò che ti spetta per diritto di nascita. Ma sei ad un solo passo dalla libertà, uno solo. Basta che decidi di muovere il piede. Devi solo fare un passo e la libertà è raggiuta. La regola è: se ti lamenti perché una cosa non ti piace, devi provare a cambiarla. Se invece non vuoi cambiarla perché alla fine va bene così, perché non muore comunque nessuno (a parte la tua anima) è una tua scelta e non ti biasimo, ma almeno sia così. Ed io sollevata da ogni incarico.
-Hai ragione. Adesso farò la scelta giusta.
Devi solo fare un passo
Ma la scelta giusta è sempre stata, ogni volta, quella di assecondare, mentire, nascondere, manipolare, mostrare gentilezza per nascondere la paura. Non dell’altro, oramai evidentemente, ma di sé. In psicologia certe cose hanno dei nomi chiari e sono cose, almeno alcune, curabili. Ma è più facile e meno oneroso usare la generosità di talune persone per renderle spazzature emotive.
Sì, dovrò andarci. È vero. Ora ci vado. (Frase ripetuta in oltre un paio d’anni almeno quante volte un prete ripete al giorno l’Ave Maria).
L’insuccesso è un punto di vista. L’insuccesso è quando chi non vuole salvarsi porta chiunque gli si avvicini, in prossimità del proprio baratto più di quanto questi portino vicino alla libertà. Lei mi teneva la mano per trascinami in quel disastro e non per venirne via.
Ma il successo è finalmente essere consapevoli che ognuno di noi può aiutare solo chi davvero vuole essere aiutato. Nessuno salva nessuno. O meglio: nessuno salvi nessuno, nessuno si applichi, nessuno si spenda, nessuno si creda Dio. Se salvarsi resta solo un’idea e non un’autentica volontà, nulla si può ottenere, se non il risultato di, stupidamente, annullare se stessi.