Il treno di notte
Come lo devo definire? Un mezzotono? Un chiaroscuro? Fatto sta che non mi piace e non mi è mai piaciuta. È una rappresentazione che ho sempre trovato ingenerosa e anche un po’ fuorviante. Un tempo mi rattristava, sviliva. Poi, appunto, ho iniziato a giudicarla fuorviante. Poi vabbè. Case, stalle, auto, lampioni si allungano all’orizzonte. Quant’è che non ci riprovo? Eddai, facciamolo. Ma no, per l’amor di Dio, ma fai davvero? Quel riflesso non può essere certo il mio. I treni di notte. Le luci neutre. I riflessi cattivi.
“Vedi di dormire”
“Si, si”
“No, dico davvero. Devi dormire. E basta”
Ma ci crede davvero? Mi sono chiesto. È la prima volta che prendo il treno di notte e questa crede davvero che io mi addormenterò a comando? Ho già preso tanti treni nella mia seppur breve esistenza, ma sempre di giorno. Di notte è una novità.
Mi chiamo Matteo e sono in quella fase della vita in cui tutto è novità. È un periodo che durerà ancora per sette otto anni. Poi inizieranno i deja-vu e le cose faranno un po’ meno paura, ma certo risulteranno decisamente più insipide. Credo che la maggior parte delle foto dell’album dei ricordi le metterò via in questi anni. Magari i contorni perderanno nitidezza, ecco, ma che potenza. Adesso però non è tempo di ragionare di questo. Devo escogitare un piano. Non posso dormire. Non me lo posso permettere.
Questi treni a motore danno di quegli strattoni che guarda. Ho questa strana paranoia che il treno si rompa e non raggiungerò la mia destinazione. Ci pensavo ieri sera, a luce spenta. Credo di aver sognato anche qualcosa a riguardo. Poi al mattino latte di soia, fiocchi d’avena e sorrisoni di biasimo. Ora però la paranoia mi è un po’ tornata. Che bello quando si attraversa un passaggio a livello in campagna. Il suono che si stende orizzontale assieme alla luce rossa e ai fari delle auto. Se ci sono, ovviamente. Che di notte in queste lande la vita è quella che è. Mi schiaccio sul sedile per evitare il mio riflesso e guardo fuori. Un campanile lontano fa pendant con il riflesso della studentessa che dorme nei sedili a fianco. Sembra quasi che gli voglia staccarle il septum dal naso. Povera.
“Al confine. Da Milano al confine è un attimo”
“No. Niente confine”
“Como”
“Como è il confine” Non la freghi quella, da giovane ci lavorava a Como.
“Ora spegniamo la cuccetta e basta così. Sennò poi domani…”
Ma cosa interessa a me del domani? Ci sono notti in cui mi convinco che il babau venga e mi sradichi l’anima con un falcino, capirai chi ci pensa più al domani. Ma sui treni il babau mica c’è. Io ho già studiato tutto, comunque. Fino a Como chiacchiero. Poi loro si addormentano e io pure fingo di dormire. Poi allungo il ditino verso la tenda, la scosto un po’ e guardo oltre il finestrino. Non dico sempre, ma nelle stazioni si. Voglio vedere i nomi tedeschi, i caratteri bianchi su sfondo blu.
I treni di notte li preferisco a quelli di giorno. La gente è poca e quando la gente è poca ho come l’idea che sia più selezionata. Nei treni di notte la gente non scrive mail di sollecito al computer, non telefona al collega per suggerire le parole da usare con il cliente, non dà l’idea di occupare tre pagine di pdf con il proprio curriculum vitae e di avere più reti in LinkedIn che Gigi Riva in campionato. Spesso è pure vestita alla cazzo. E fondamentalmente dorme. O legge. O legge e poi dorme. Comunque non disturba le orecchie. E manco l’autostima. Il treno di notte è una parentesi di luce nel buio, qualunque nome si voglia dare a quell’oscurità che tutto avvolge.
Ho fatto i conti alla perfezione. Lunga attesa significa confine con la Svizzera. Da quando riparte conti le stazioni: Lugano, Bellinzona. Poi dovrebbe iniziare il cantone dei crucchi. Ora siamo fermi. Mannaggia, mi sa che mi sono addormentato un attimo e ho perso qualche stazione. Li sento parlare lì fuori. É tedesco! Questo è tedesco! Mi allungo e scosto la tenda dal finestrino. Non vedo. Allungo il collo. Ma questa è la mia faccia riflessa. Non mi piace questa faccia riflessa, io voglio vedere il nome tedesco, la gente tedesca. Perché la mia faccia riflessa?
“E allora ma cosa fai? Vuoi dormire o no? Poi vediamo domani!”
Mi giro di scatto. La testa sotto il lenzuolo. Fanculo. Manco ho visto nulla. La mia faccia riflessa. Questo ho visto.
Credo di essermi addormentato. Dove sono? Davanti a me c’è sempre il solito tizio brizzolato. Avevo capito che deve scendere dove scendo io. Quindi va bene, va tutto bene. Chissà se affacciandomi riesco a capire dove sono. Magari intercetto il cartello di una stazione dove non ferma.
Ah no, il riflesso.
Va bene, guarderò Google maps.