Teatridimare. Ciao Francesco
Il verbo navigare è uno di quei verbi che più si presta ad essere declinato in efficaci metafore. Quante volte ci sarà successo di navigare in brutte acque? O quante volte, per non poter prevedere il futuro a breve termine per imprevedibili circostanze, abbiamo navigato a vista? Per non parlare delle volte che abbiamo chiesto consiglio a persone esperte e ben più navigate di noi. E poi: chi usa più lo stradario da quando esistono gps e navigatori? Dai quali, tra l’altro, pretendiamo altissima precisione pur consapevoli che anche il più grande navigatore di sempre fu fallibile, partendo per le Indie ma approdando clamorosamente in America. E tutto questo, a parte sui libri di storia, si può leggere con grande agilità navigando – giustappunto – su internet. Del resto si sa, l’Italia è Paese di santi, poeti e navigatori, quindi forse per questo il gergo marinaro è così presente nel nostro linguaggio. Ma questo grande preambolo perché? Per introdurre degli speciali navigatori che da anni battono le coste italiane – e non solo – in totale controtendenza rispetto alla tradizione: una volta erano gli spettatori ad andare a teatro, con loro invece è il teatro che va dagli spettatori, perché con la loro barca a vela, miglia dopo miglia, fanno di ogni porto un prezioso palcoscenico. Chi all’appello risponde è Francesco Origo, direttore artistico di questa missione visionaria, al quale abbiamo chiesto di raccontare i fuori scena e gli aneddoti che hanno arricchito questo lungo viaggio di “appena” ventuno anni, le bizzarrie che hanno contraddistinto un così avventuroso cammino. Per conoscere la loro storia (e anche la geografia) basta visitare il sito www.teatridimare.it; ma questo è il tempo dello spettacolo alternativo, quello che non si vede ma che rende eccellente ciò che invece è sotto gli occhi di tutti. Francesco tocca a te, io salgo sulla scialuppa e abbandono la nave. A te il timone.
Il carico della barca dei Teatridimare è molto importante: tutti i materiali di scena sono studiati e progettati per poter essere stivati alla perfezione e ogni carico, dopo lo smontaggio, è una specie di Tetris. Se sbagli qualcosa, a qualcuno toccherà dormire in cuccetta con un tamburo o un riflettore. Quando arriviamo nei porti e iniziamo le operazioni di scarico normalmente si forma una piccola folla di curiosi. Lo spettacolo è in qualche modo già iniziato: la banchina si riempie di qualsiasi cosa e il numero degli spettatori aumenta all’aumentare della quantità di oggetti che escono per magia dalla barca: cavi elettrici, mixer, piantane, fondali, fari, bandiere, strumenti musicali, costumi di scena appesi al boma per prendere aria prima di essere stirati, microfoni, casse, attrezzerie di scena, maschere.
Lo spettacolo è in qualche modo già iniziato
All’organizzazione ospitante non resta che portare duecento sedie per allestire in banchina la platea di questo teatro nato nel porto. Ricordo la prima tappa, il primo porto, il primo “esperimento” dei Teatridimare. Avevo fatto tutti i sopralluoghi, preso accordi e stipulato i contratti. La sera prima di partire recitiamo Le furberie di Scapino di Molière in una piazza del centro storico di Cagliari gremita di gente. Alla fine dello spettacolo invitiamo il pubblico a unirsi a noi per un brindisi benaugurale. Il corteo di attori e spettatori deve solo arrivare alla darsena del porto dove la barca dei Teatridimare è ormeggiata e tirata lucido pronta a salpare, il Vermentino fa il resto, tra canzoni e ballate. La mattina seguente è partenza! Gli attori sono eccitati: avrebbero navigato le loro prime venti miglia di mare. Ormeggio impeccabile e, terminate tutte le operazioni di scarico e di montaggio della scena, un responsabile del comune mi dice: “Ma le sedie, non le avvètte portatte?”. Duecento sedie su una barca di dodici metri?! Lì ho capito che c’era ancora molto lavoro da fare, ma la macchina dei Teatridimare, in ogni caso, era partita! Decido, allora, di complicarmi un po’ la vita e scrivo un vaudeville sull’ingordigia: Gastromachia. In scena sette attori cucinano una grande zuppa di lenticchie alla campidanese nei tempi perfetti della recitazione, del canto e della musica, che poi viene servita al pubblico accompagnata da un ottimo Cannonau.
la macchina dei Teatridimare, in ogni caso, era partita
Lo spettacolo è una sorpresa e un successo tanto da replicarlo per quattro anni navigando in Sardegna, Corsica, Toscana, Liguria, Lazio e Calabria. Gli attori son diventati buoni marinai e ora, capitanati da Barbara, anche eccellenti cuochi. E al carico si sono aggiunti gli ingredienti per la zuppa: dai gavoni escono carote, cipolle, sedano e lenticchie; trecce d’aglio appese al boma, guanciali di maiale ai tientibene del quadrato, olio stivato con cura in sentina e Cannonau a litri. E poi il fornellone, il pentolone, i mestoli, i taglieri, i coltelli da macellaio, le ciotole in terracotta, il tritatutto. Ad ogni tappa si stirano i frac, si inamidano le camicie, i panciotti e i papillon, si tritano gli ingredienti per un soffritto per duecento persone, si montano la scena, i fari, la fonica. E alla fine dello spettacolo ecco il “terzo tempo”: gli attori servono zuppa, vino e pane pistoccu al pubblico. Più di una volta, riordinato e sistemato tutto, messi a cuccia gli attori, con le ombre dell’aurora in arrivo, io e Giancarlo ci siamo scambiati uno sguardo complice, abbiamo sciolto gli ormeggi e siamo partiti per la tappa successiva: di notte fa più fresco, le miglia raddoppiano e a bordo, finalmente, c’è un po’ di quiete. Sullo scaffale dell’ufficio della nostra “base nautica” a Quartu Sant’Elena, sono allineati i Giornali di bordo che, da Comandante, ho redatto quotidianamente in questi anni di navigazione teatrale: raccontano, con la sintesi consueta del log book, le oltre trentacinquemila miglia di mare che abbiamo percorso e, tra le note di rotta, ritrovo i brevi appunti che segnano eventi particolari che spezzano la routine della navigazione. Sono centinaia ed ognuno è una piccola storia; tante piccole storie per indimenticabili magie.
Intervista risalente a fine marzo 2022. Forse l’ultima di Francesco. Abbiamo deciso di non pubblicarla subito dopo l’inizio della sua navigazione verso ben altre e alte mete, per non apparire avvoltoi mediatici. Lo facciamo dopo tanto tempo per ricordarlo.
Ciao Francesco.