CasaPaese, non un luogo ma un sentimento
…e poi sì, accade che alla fine i sogni si realizzano.
Ed infatti Einstein lo diceva che per essere felici si deve avere passione e dedizione per un obiettivo, per un sogno, non per una persona né per una cosa. Quando poi l’obiettivo coincide con il benessere, la salute e la serenità delle persone, specie quelle ai ferri corti con l’autosufficienza, è forse segno che la direzione è quella giusta, e che una strada maestra da percorrere – maestra soprattutto di vita! – c’è. Senza indugi. Senza dubbi. Con mille insidie e fatiche, ma certamente senza dubbi. La strada è quella che porta a Cicala, un piccolo centro della Calabria ai piedi della Sila piccola che, a dispetto del suo nome, abiura la sua nomea di sfaticata, sbugiardando Esopo e l’operosa formica che le fa da contraltare.
E poi accade che i sogni si realizzino
A Cicala infatti si concretizza un sogno chiamato CasaPaese, del quale è difficile dire, così com’è difficile descrivere i sentimenti, e questo perché i sentimenti non hanno parole ma fatti. O meglio: hanno parole che suffragano fatti. Proviamo allora a cercare le giuste parole per raccontare questo grande folle sentimento che è CasaPaese.
CasaPaese è una visione. Un mondo riscritto a dimensione di chi lo abita. E lo abitano persone con demenza, di tutte le età, a diversi stadi della malattia. È la naturale evoluzione del centro diurno già esistente a Catanzaro, che però oggi diventa residenza accaventiquattro. È un paese nel paese. È costruita dentro ottocento metri quadrati di mura che la rende sicura, a misura di chi la misura non ce l’ha più.
CasaPaese è una visione
Io c’ero all’inaugurazione, e mi onoravo, da madrina, di tenerla a battesimo. Ero accanto alla brillante mamma, Elena Sodano, che insieme alla sua famiglia – l’associazione Ra.Gi. – ha partorito questo piccolo grande miracolo, che nel suo stile è unico in Italia.
È una casa non di riposo, bensì di attività piena, dove chi non ha più il passato che la demenza cancella ha senz’altro un futuro. Dove nessuno si sente finito. Dove nessuno è inutile. Dove nessuno viene legato al letto per la propria incolumità, ma viene messo in condizioni di stare al sicuro, ovunque vada, qualunque cosa faccia. Ed è soprattutto qui la vera salvaguardia del rispetto da portare alle persone.
Ed è anche un paese, ma senza i suoi pericoli tipici, dove i viali e le piazze perfettamente ricostruite non hanno macchine che lo attraversano o pirati della strada, ma operatori, compaesani, specializzati nella cura prima dell’integrità e della dignità umana, poi di tutto il resto.
a misura di chi la misura non ce l’ha più
Dove forse per la prima volta il rapporto tra operatore e utente è di due a uno, e non di un paio di operatori per interi reparti. E qui poi non ci sono reparti, ci sono l’ufficio postale, il barbiere, l’edicola, il medico condotto, il negozio di frutta e verdura, il minimarket, il ristorante, il bar, i panni appesi al balcone, la farmacia, l’asilo nido dove portare i propri figli (che le persone con demenza ricordano sempre bambini), il cinema, il salotto delle merende, l’affaccio sul mare, il giardino, la cappella per le sante messe della domenica (e qui domenica potrebbe essere ogni cinque minuti), gli alberi da cui raccogliere la frutta e le piante di peperoncino. Peperoncino, ovvio, altrimenti non sarebbe credibile, non sarebbe Calabria, che da tutto questo ottiene anche un enorme riscatto sociale e territoriale, perché CasaPaese (che vanta collaborazioni da tutt’Italia) abita il suo ventre. La Calabria dunque non sarà mai più ricordata, come vergognosamente accade, solo per fatti di cronaca nera, ma anche per progetti avveniristici ed inclusivi, di promozione umana in difesa dei diritti dei più fragili; o meglio di quelli che ora sono i più fragili, ma che un tempo furono talmente solidi e determinanti da strutturare le nostre vite, dandoci delle possibilità dalle quali ancora oggi traiamo beneficio.
Casapaese è il posto dove la vita continua anche dopo che la malattia l’ha cancellata. E tutto questo per rendere il passato di tutti gli ospiti – unico appiglio per un labilissimo quanto evanescente equilibrio – perfettamente presente, facendoli vivere dentro una nuova quotidianità sana che sa ancora di bucato fatto a mano.