Le maestre non si arrendono mai
Stavo preparando le maschere della messinscena teatrale de “La gabbianella e il gatto” e mi piombano in aula le colleghe in pompa magna, con l’intera classe al seguito. Gli serve la lavagna luminosa per un video. Maestra di scienze, maestra di sostegno e supplente apprendista.
“Scusa cara se disturbiamo, ci serve il tuo schermo per youtube”.
Rispondo, serena:
“nessun problema. Peccato che internet non funzioni “…
“Ah, e glielo hai detto, in amministrazione?”
“Quattro mesi fa”, e sorrido.
“Beh, magari l’hanno messo, e tu non lo sai…Mi risponde la scienziata, scuotendo la bionda coda di paglia”.
“Certo, io non faccio altro che leggere, scrivere e disegnare, mica uso internet come quelle che lavorano”, penso. Sospiro un -magari-, e continuo a pittare micetti. Cominciano a trafficare coi fili e i collegamenti della lavagna luminosa.
“Ma non è possibile!”, protesta la scienziata, “io devo mettere un video sul sistema solare!!!”
I ragazzini cominciano a fare chiasso. Con un latrato li fa sedere tutti. Il chiasso attira dal corridoio la collega di inglese che irrompe con un
“What’s the matter?”
In accento brindisino. Le spiegano il problema e adesso sono in quattro a collegare fili e pulsanti inutili come loro. Io e i mici ci godiamo la scena. L’anglopugliese abbandona il campo, sconfitta. Tanto non è la sua classe, che le frega. Anche le altre si arrendono. A internet, non al sistema solare. Certe maestre non rinunciano mai. La scienziata decide di fare una live, tipo presepe vivente. Mette le sedie in circolo intorno alla broccola alta di sostegno, il Sole, un po’ di ragazzini a fare i pianeti intorno, comprensivi di satelliti, e lei, naturalmente la Terra, comincia il suo moto rivoluzionario tutto intorno. Mi siedo, sgomenta. Un ragazzino mi salta in braccio nascondendo la testa tra i riccioli, per non far vedere che sta sghignazzando. Io penso: “Quanti talenti rubati all’avanspettacolo”.
I miei primi anni di insegnamento sono stati, come per tutti i lavori, di gavetta pesante. Ero in una scuola della periferia romana, sposetta fresca e bionda alla cheratina, pronta all’estremo sacrificio pur di difendere i miei eroi. La scuola si trovava accanto a un campo nomadi e metà degli alunni lo era, tra l’altro i più svegli e intelligenti. Mi avevano affibbiato una classe di tutti maschi, un paio di ripetenti più alti di me, con cui mi toccava ruggire per farmi ascoltare, ma che mi amavano con tutta l’anima. Materie: praticamente tutte, tranne la matematica. Pure educazione motoria mi toccava fare, io che inciampo da ferma. Essendo solo maschi, e ben piantati tutti, decido di organizzare tornei di calcetto. Mi faccio spiegare un paio di regole dal collega di un’altra classe, ancora me lo ricordo, si chiamava Gualtiero e gli piacevo. Ma ero già oggetto di altrui proprietà quindi stava al suo posto, in più non mi interessava. Così mi improvvisavo arbitro di uno sport che detesto, ma che ai ragazzi garbava parecchio. Una volta in campo, armata di fischietto e incoscienza, assisto a gesta e parolacce che mai pensavo potessero esistere. E per non conoscerle io, che di turpiloquio me ne intendo, erano davvero “forti”. Tornati in classe, mi sento in dovere di attaccare il predicozzo sul fair play e sulle espressioni troppo colorite. A un certo punto si alza in piedi Dario, 10 anni × 1,60 di altezza e 60 kg almeno di stazza.
“A mae’, allora io so’ un principe! Quando sto cojone s’è fatto rubba’ la palla, ho gridato che cacchio stai a fa’, mica ho detto ‘cazzo’!!! Sono soddisfazioni.”
Oggi entro più tardi al lavoro e mi godo con calma il tragitto al sole. Per strada il singolare popolo della metà mattina. Ognuno trascina il suo bagaglio, sotto il sole… schiere di nonni coi passeggini, coppie di badanti ciarliere coi loro carichi viventi, casalinghe attempate e vigorose armate di carrelli verso il mercato rionale. I campioni dell’assurdo, quelli che fanno jogging col cane al seguito. Mi fermo per cedere il passo a un curioso terzetto che esce da un supermercato, una coppia di anziani curvi e minuti, preceduta da un ragazzone biondo col codino e le braccia piene di sacchetti. A un certo punto la signora lo raggiunge per prendergli una busta e lui si rifiuta, che ce la fa benissimo. Si sorridono con la stessa luce e lei gli rimane accanto. Improvvisamente il ragazzone si blocca,
“aspetta che nonno ha messo la prima”
…era rimasto indietro di venti metri buoni, il nonno. Continuo a camminare verso di loro. Il ragazzo mi nota,
“buon lavoro, maestra!”
Penso oddio, come lo avrà capito il mio mestiere? Ho la divisa di ordinanza pure io? Lo guardo in faccia pronta a chiedere spiegazioni e incrocio i suoi occhi turchesi. Identici a quelli di Matteo, un ragnetto sdentato di sette anni che mi faceva disperare, secoli fa, in classe. Lo sguardo non cambia mai. Lo chiamavo così perche’ si arrampicava dappertutto, col corpicino esile e inafferrabile. Ora era davanti a me, alto e forte, un nipote amorevole ed ex alunno educato. Col suo piccolo posto nel mondo e nel mio cuore. Posso sorridergli, sollevata. Buona fortuna, ragnetto.
Sono al supermercato. Almeno sono sola. È un’attività che detesto ma da sola ho piena facoltà di comprare schifezze; che, ovviamente, sono tutte in alto. Ed io sono da sola. Con le sneakers, niente figlio e marito pertiche vicino. La mente vulcanica si accende, insieme allo spirito circense. Mi dirigo verso il settore scopettoni, prelevo un manico e torno dalle merendine in alto. Punto lo scopettone come un bastone di kendo ma il risultato è misero: insieme al pacco che volevo mi tiro addosso un’altra decina di confezioni.
“Aspetta professore’, t’aiuto io !”
La voce ruvida di fumo ma rassicurante del commesso rock Luigi, mio allievo occasionale di letteratura. Si mette a raccogliere con me i pacchetti, mi toglie un bollino di offerta speciale dalle tette e dice:
“Tu voi fa’ troppe cose insieme, e tutte da sola. Ma chiedi, no?”
Ha ragione.
“Vabbè, me trovi alla cassa!”
E mi abbandona col mio trofeo. Al pagamento in cassa lo ritrovo; il ciuffo sale e pepe, la faccia lampadata tutto l’anno e l’orecchino. Penso che io e lui siamo rimasti uguali, dopo tanti anni, non ci siamo mai arresi alla mediocrità. Nemmeno quella delle offerte speciali. Mentre passa le cose sopra il nastro mi prende in giro nel suo solito modo bonario, sa che reggo le battute, da lui. Esamina la spesa, per niente da “mamma di famiglia” da campionario istat : schifezze precotte e surgelate, dolciumi e salatini, tisane, lettiera del gatto, birra…
“la prof c’ha Hemingway, a cena, stasera…”
scherza con la collega della corsia accanto. Rispondo al mio micropubblico:
“Meglio, c’ho John Fante”
“Ah, e chi è, un esordiente?”
“Santa pazienza”, penso. “Più o meno”…
Luigi è carico:
“Beh, ma deve cambia’ nome, che quello da italoamericano nun fa successo, è troppo provinciale !”
“Mah”, rispondo, “non è detto, guarda Frank Sinatra”… “We!re sorry, John”.