Fili sparsi
Da tempo, molto tempo ormai, me ne stavo in casa accovacciato sotto una coperta di polvere che non riuscivo a scrollarmi di dosso. Le gambe le avevo come incatenate, atrofizzate dalla lunga immobilità a cui le avevo costrette. Non uscivo mai, non avevo nulla da fare, o meglio, non avevo nessuno con cui stare.
Ero troppo freddo, non amavo condividere con nessuno le mie emozioni e quelle poche persone che per un po’ di tempo mi avevano sopportato erano giunte alla conclusione che ero solamente un caso perso. Anche a lavoro nessun contatto, vedevo solo un ring in cui uno dopo l’altro dovevo abbattere a forza di giochetti e magheggi ogni mio avversario. Dovevo scalare quei fottuti gradini affinché arrivassi ad avere una posizione che mi ponesse al di sopra della feccia della classe sociale medio-bassa.
Tralasciando i rapporti interpersonali, non era nelle mie corde nemmeno godermi quello che la natura ti dona giorno dopo giorno: non avevo mai guardato un cielo illuminato dal sole o una notte di stelle cadenti. Tutto questo piuttosto mi trasmetteva un profondo malumore che mi faceva innervosire non poco. Per me era solamente tempo perso, avrei potuto fare altro mentre i poveracci si cimentavano ad apprezzare cosucce così banali.
non avevo mai guardato un cielo illuminato dal sole o una notte di stelle cadenti.
I miei genitori erano stati molto premurosi con me, ma se n’erano andati troppo presto, in un incidente stradale, quando avevo appena sei anni.
Ero cresciuto con una zia che tirava a campare facendosi scopare da qualche pensionato a cui nemmeno gli si rizzava più. Inconsciamente forse ho iniziato proprio in quel periodo ad odiare tutti, volevo crescere per uscirmene velocemente da tutta quella merda e per allontanarmi da quello stato infimo di povertà.
Non è stato mica facile, nei primi anni di adolescenza. Per avere quattro soldi mia zia mi consigliò di farmi qualche sua amica in menopausa che non si cagava nessuno; con quei regalini avrei potuto permettermi di comprarmi quello che mi serviva. Anche perché, senza troppi giri di parole, mi fece capire che da lei non avrei mai visto un soldo bucato. Quando capitava di trombarmele chiudevo gli occhi e immaginavo di avere davanti una di quelle reginette di Play Boy di cui tutti noi maschietti eravamo tanto infatuati.
Come tutti i bimbi avevo dei sogni, ma avevo preferito tuffarmi nella realtà per guadagnarmi quello che io definivo dignità. Ero anche stato qualche mese con una ragazza, una santa in terra, che però ha perso la pazienza quando, rientrata a casa, mi ha trovato sotto le coperte con la vicina di casa ed ha capito che era stata una delle tante da cui volevo solamente una cosa (vabbé dai era vero, pff).
Negli anni questo è stato il leitmotiv della mia vita, odio verso il prossimo, arrivismo allo stadio più elevato, materialismo come religione ufficiale. Talmente ero accecato da tutto questo, che non mi importava di niente; neanche quando il mondo che mi ero costruito si sbriciolava pezzo dopo pezzo, sotto le mie scarpe.
Quello che pensavo era che non perdevo nulla quando qualcuno si allontanava da me, che non perdevo nulla nemmeno se mi cacciavano dal lavoro. “Tanto domani ne trovo un altro, sono il migliore io, su questo non ci piove”, dicevo.
Ora non so bene cosa sia successo, non so quanto sia passato dall’ultima volta in cui ho messo piede fuori di casa
Ora non so bene cosa sia successo, non so quanto sia passato dall’ultima volta in cui ho messo piede fuori di casa, o in cui qualcuno si sia informato se ancora respirassi o fossi diventato polvere da spazzare. Ho le tapparelle della finestra chiuse, non so bene se sia mattina o sera, non so se sia ora di mangiare o meno, anche se sinceramente non ne sento nemmeno il bisogno.
“Ma guardati, non hai ancora capito forse? Non ti sei ancora accorto che non sei più nulla, ancora adesso non ti fai pena? Coperto da polvere e vermi che di te stanno lasciando solo un enorme corpo informe.”
“Eh sì, adesso sì mi vedo, legato a terra da fili che mi bloccano completamente, so esattamente cosa sono, li ho lasciati cadere io in questi anni perché credevo fossero solo un peso da trascinare ed ora sono qui che li continuo a fissare.”
Ogni uomo lascia lungo il suo cammino dei fili sparsi. Ricordo di emozioni intrappolate, passi interrotti, sogni ingabbiati.
E mentre il tempo si perde scivolando nel ticchettio delle lancette, malinconico arriva il tramonto umano. E i fili sparsi si fanno numerosi, impedendo ai piedi di muoversi. L’essere umano corre per una vita intera dietro futili desideri, non accorgendosi che tutto andrà come deve, poco come spera.
E allora forse bisognerebbe fermarsi a raccogliere quei fili, non spezzarli, ma viverli.
Le matte corse fatte inseguendo la spettrale materialità ci fa perdere di vista la bellezza del contorno, della cornice ai giorni luminosi che si perdono nell’infinità dell’universo.
Il silenzio di un’emozione non comunicata, di un desiderio inespresso, di un gesto non fatto, sono proprio quei fili sparsi che si ammassano nella nostra vita.
Quando saranno troppi cadremo e un pensiero ci attraverserà.
Mi premurai a vivere solo quello che più appagava i demoni della mia avidità. E la mia anima, sopita da essi, era inerme “