Fuori fuoco
È un sabato mattina, sono in fila e aspetto il mio caffè mentre la proprietaria mi spiega come ha convertito il suo camioncino in un bar ambulante. L’aria è ancora calda anche se lascia svogliatamente posto a un accenno di autunno non troppo convinto.
Accanto a me una ragazza ha tra le mani un dolcetto di pasta sfoglia e crema. Sento l’odore della cannella e richiamo la consistenza del ripieno caldo sul palato.
Ha l’aria di essere una turista, la guardo attenta in attesa del momento in cui la pasta sfoglia si romperà sulla punta della lingua e la crema ancora calda migliorerà la sua giornata. Non lo assaggia. Tira fuori una macchina fotografica e mette in posa il pastel tra le barche del molo. Una, due, tre volte. Cambia la messa a fuoco, prova in verticale, poi in orizzontale, con la sua mano al centro della foto, più lontano, più vicino, in modo che si veda la cannella.
Deve essersi raffreddato, ora lo mangerà e non saprà che la sua esperienza è stata contraffatta. Quando abbiamo smesso di fare qualcosa solo per il piacere di farlo senza condividerlo? Quando abbiamo sentito il bisogno di essere pubblicamente approvati, lodati, invidiati? Quando abbiamo preferito mangiare qualcosa di freddo?
Il mio caffè è pronto. Davanti a me c’è una coppia con due tazze di caffè lungo tra le mani. Non sono comuni bicchieri di carta, questi sono interamente commestibili, fatti d’avena. Con una mano stringono quest’oro scuro e fragrante che cancellerà la notte fatta di poche ore di sonno e con l’altra mantengono il telefono. Avvicinano le due tazze brindando forse a loro o all’estate e poi le allontanano di nuovo stando attenti a inquadrare il mare, le barche, la vita.
La vita. Quanta di questa ci è permesso fabbricare, posizionare con arte e buon gusto per coronare – o minuziosamente ricreare – il nostro sogno di una vita romantica che ci vede protagonisti indiscussi? Perché sentiamo il bisogno di confezionare momenti con l’intenzione di etichettarli come ricordi ancor prima che diventino passati?
Perché abbiamo deciso di barattare la possibilità di vivere in un presente imperfetto per il gusto di poche polaroid che avranno il nostro interesse solo mentre l’inchiostro si rapprende sulla pellicola? Allontaniamo la solitudine mentre condividiamo una gioia prefabbricata che stenta ad avvolgerci del tutto. Quando abbiamo allontanato l’obiettivo così tanto da aver perso la messa a fuoco?
Qual è stato l’istante in cui non ci è più bastato fare una foto, posare il dispositivo e aspettare lasciando al lavorio del tempo il compito di rendere gli eventi e i sorrisi sdentati dei bambini i ricordi ai quali tornare con nostalgia?
Come farò a provare nostalgia tra queste foto senza margini di errore e sbavature che non saprò più far combaciare con il resto della mia vita così imperfetta?
Decido finalmente di bere il mio caffè prima che si faccia freddo. Prima che qualsiasi filtro inizi a sembrare più interessante di un qualsiasi sabato ordinario.