In morte dell’amico Giovanni ( A Giovanni Marangolo )
Ero un semplice ragazzino che veniva da un piccolo paese della provincia quando salii sull’autobus che mi avrebbe portato a Messina per il mio primo giorno di università, all’ormai ex facoltà di Lettere e Filosofia. Ricordo il caos sui tram e sulle navette che si arrampicavano su per la collina e si fermavano ai piedi delle scale del grande edificio con la facciata in acciaio e le travi incrociate. Il magone nel non sapere cosa sarebbe successo. Quell’esercito di studenti, ognuno con il proprio carattere, le proprie ansie, il proprio modo di approcciarsi e vestirsi. Chi si trovava già a suo agio, chi si nascondeva tra i corridoi in preda alla timidezza.
Poi le porte delle aule che si aprivano e la corsa per trovare i posti e non rimanere in piedi. Poco prima che ci facessero entrare eri a pochi centimetri da me e, cercando conferme se mi trovassi nel posto giusto, fosti il primo a rispondere.
Il caso volle che nella sedia di fianco alla mia ti sedesti tu. I giorni passavano e aumentava la nostra conoscenza, il nostro gruppo di amici si formava e si allargava sempre più. Eri un amante della storia ma lo avevi detto: Proverò innanzitutto ad entrare nell’esercito l’estate prossima, nel frattempo mi porto avanti con gli esami nelle mie materie preferite. Non eri di molte parole ma ci facevi ridere spesso con le tue battute. Preferivi parlare di più quando ti trovavi a quattrocchi con qualcuno di noi.
A gennaio fu il momento del nostro primo esame, tutti preoccupati, tutti con appunti e libri da sfogliare cercando di memorizzare le ultime cose possibili. Pioveva a dirotto e dall’ufficio del professore si vedeva la nebbiolina che circondava lo Stretto. Il nostro primo esame, Storia romana. Tutto andò bene e superammo con buoni voti la materia. Poi un altro esame ed un altro ancora.
Il secondo semestre arrivò coi primi giorni di marzo e con esso nuove lezioni e nuovi giorni chiusi tra le aule e la biblioteca.
Il secondo semestre arrivò coi primi giorni di marzo e con esso nuove lezioni e nuovi giorni chiusi tra le aule e la biblioteca. Sul finire di maggio fu l’ora di salutarci, anche tu ti preparavi agli esami, ma non più quelli universitari bensì quelli che ti avrebbero permesso di accedere al tuo più grande sogno. L’estate ci tenne tutti lontani, le serate, il mare, qualche libro da iniziare a sfogliare per preparare qualcosa a settembre.
Un altro autobus mi portava al secondo anno da studente universitario. Tutti a cercarci, a controllare se dalla porta ad uno ad uno fossimo entrati tutti. Le classiche domande Come stai?, Hai studiato?, Cosa hai fatto in questi mesi? Aspettavamo che arrivassi, ma in fondo sapevamo che ti trovavi da qualche parte con la divisa addosso alle prese con l’addestramento militare. Non ti piaceva Facebook e non c’erano tutte queste app che oggi ti permettono di parlare facilmente. Non usavi in generale, molto, nemmeno il cellulare. Purtroppo non avemmo più modo di sentirci né vederci ma eravamo contenti che avessi raggiunto il tuo obiettivo.
La nostra routine puoi immaginarla. Lezioni, esami, libri, fotocopie, appunti, evidenziatori, penne, quaderni. Poi il terzo anno, l’ultimo assieme, e dopo ognuno a seconda delle proprie tempistiche avrebbe finito con le ultime materie o preparato la tesi.
Quando per cause di forza maggiore anche col resto del gruppo ci dovemmo distaccare, provai a chiedere a qualcuno se, per un caso fortuito, fosse riuscito a incontrarti. Ma nessuno, ormai da più di un anno, aveva avuto più tue notizie.
Era un lunedì, ne sono sicuro. Purtroppo non mi viene in mente l’anno o forse l’ho rimosso volutamente, evitando di ricordarlo come negativo. In questo giorno che viene dopo il fine settimana – spesso carico di notizie – avevo l’abitudine di prendere il caffè, appena finito di studiare.
Quel giorno però il bar in cui andavo a sedermi di solito era chiuso e me ne tornai a casa. Non avrei letto nessun giornale sportivo o di cronaca quella mattina. Pazienza, mi dissi. Quella stessa sera avevo in programma una cena in un ristorante di un paesino limitrofo e, terminato di mangiare, decidemmo di prendere qualcosa per digerire e non andare a letto con la pancia piena.
Mi accorsi che proprio di fianco a me stava La Gazzetta del Sud e ricordandomi di non aver letto nulla al mattino la aprii sorseggiando il mio amaro alle erbe.
Ho sempre avuto il vizio di aprirla dalla metà perché da sportivo cercavo i risultati e le classifiche dei vari campionati regionali. Non so perché successe, o se accadde perché avrei dovuto leggere ciò che avrei preferito non sapere mai. Le mie mani trattennero meno delle pagine che di solito spostavo per trovare l’angolo dedicato allo sport. Ricordo tutto perfettamente.
Sulla destra, con una foto che occupava gran parte del foglio, c’eri tu. Come spesso capita però, a primo impatto dopo tutto quel tempo, non associai te al ragazzo ritratto. Ripetevo Lo conosco, sono sicuro che lo conosco. Spostai leggermente lo sguardo sulla parte sinistra della pagina. Il titolo parlava di un incidente tragico, un’auto era precipitata dai colli che sovrastavano la città e si era andata ad incastrare vicino ad alcune case. In basso, sotto la foto, il tuo nome. Per una frazione di secondo sperai che mi stessi sbagliando.
Non volli leggere l’articolo, richiusi il giornale, pagai e me ne andai a casa. La tua vita era andata in frantumi tra le lamiere della tua vettura. Il tuo sogno era rimasto su di un sedile imbrattato di sangue. Spesso mi capita di pensare a quegli anni. Già, perché non c’è altro modo per andare a rivedere il passato. In realtà, per fortuna, un pomeriggio in cui tra una lezione ed un’altra ci riposavamo sulle scale della facoltà, qualcuno scattò delle foto a tutto il nostro gruppetto.
Io e Giacomo siamo seduti e guardiamo verso te che accenni un piccolo sorriso, quello che ci siamo abituati a vedere per quasi un anno.
Le riguardo volentieri. Mi piace ricordarti così, spensierato e sorridente, su quelle scale, con le tue tasche piene di sogni e progetti per il futuro.