La marcia
È arrivato questo 22 luglio, finalmente.
Lo aspetto da tre anni, da quando Luca e Francesca mi hanno raccontato della marcia.
Il Covid e la strada dissestata hanno scandito quest’attesa, mettendo il mio desiderio tra tanti altri, più o meno realizzabili ma sempre rimandabili, perciò rimasti incompiuti.
Ma quest’anno è un anno di svolta e le cose, sebbene con mille difficoltà, si stanno realizzando tutte.
Quindi eccomi in macchina, da sola.
Cavolo ma dove voglio andare? Non conosco nessuno! Sarà come al solito che mi isolerò e sembrerà che me la tiri, quando invece mi vergogno da morire!
A parte che ho già fame. e sono solo le 7.30 del mattino.
Ma poi, scusa, se devo fare pipì? S E D E V O F A R E P I P I’?
Eh.. dovevo venire con don Tonino più tardi. Lo sapevo!
Ormai ci sono. Eccoli al raduno.
Bella la sensazione: non conosco nessuno, ma mi pare di conoscere tutti. Che bei volti, che bei colori.
Noto subito che c’è gente da fuori, a occhio e croce i calabresi mi sembrano molto meno. E mi spiace.
Ci sono anche un paio di persone di Ardore.
Bene dai: visto che non sono sola?
Il tempo di arrivare tutti e si parte. Mi chiedono di seguire il fuoristrada grigio ricoperto di polvere.
Io che seguo un’altra macchina, in salita, con curve a gomito. Fa già ridere. Ma ci arrivo. Ovviamente con la convinzione di aver sbagliato strada perché il fuori strada da seguire a un certo punto sparisce (probabilmente stanco della mia andatura).
Ci arrivo con la consapevolezza che perdersi è a volte l’unico modo per trovare la strada.
Riconosco il panorama.
Guardo tra i miei ricordi e sono qui, nello stesso punto, in posa, con un’improponibile bandana e la maglietta fucsia. Mi sorrido e vorrei abbracciarmi ma il ricordo sparisce: stanno arrivando in tanti, e poi i carabinieri e i poliziotti oggi mi sembrano fighi come mai in divisa. Deborah Cartisano si affaccenda col microfono, va avanti e indietro e la sua energia è contagiosa. Parla del suo papà, Lollò, scomparso quasi venti anni fa ormai. Parla di cosa abbia ispirato la marcia e di cosa l’abbia impedita negli ultimi anni. Assieme a Don Luigi Ciotti si avvicina alla targa per dare il via a questo cammino.
Si parte, sul terreno scosceso. Osservo i miei passi e penso a chi su questi terreni ha camminato impunito. Guardo intorno e mi rendo conto di quanto bella sia la mia Calabria, ma anche di quanto sia stata lasciata a sé stessa. Da sempre forse. Da molto prima che una Questione Meridionale venisse sollevata.
La prima testimonianza arriva presto: è Liliana Esposito Carbone, che porta in dono il suo dolore da maternità mutilata, e ci avvisa che il dolore non è una torta della quale, se ne offri una fetta, prima o poi finisce. Il dolore c’è sempre e rimane, ma lei lo dona a noi affinché vi sia uno stimolo a reagire.
Si continua.
Poco dopo ci parla il fratello di Maria. Per lui memoria non significa raccontare qualcosa per non dimenticare, significa generare forza.
Ripartiamo e guardo la figlia di Maria, anche lei tra noi alla marcia.
È il turno di Francesco, e io lo conosco. Ricordo anche quando sua moglie è stata uccisa, avevo dieci anni. Le sue parole sono lacrime che rigano il mio volto. I racconti di una famiglia felice, che aveva come unica colpa quella di stare bene. E se stai bene, è come se quella ricchezza non sia tua, anche se l’hai costruita onestamente. Se stai bene DEVI dare il tuo bene alle mafie. E devi anche lasciare la tua vita alla Calabria, dove la sanità non è in grado di curarti, dove nessuno nota un proiettile nella schiena dalla radiografia.
La testimonianza di Francesco mi tocca profondamente. E riprendo pensando ai figli di Raffaela, oggi grandi, che allora hanno visto uccidere la loro mamma, senza un motivo.
Senza un motivo, un angelo veniva ucciso dal male.
Arriviamo in una zona pianeggiante. È lì che si celebrerà la Messa. Ma siamo in anticipo. E si prosegue. Dopotutto non mi è sembrata difficile. E infatti adesso comincia la parte più dura. Pietra Cappa è sempre più vicina.
Arriva la quarta testimonianza, ancora una mamma: quante mamme sopravvissute ai loro figli! Il dolore si infrange nell’aria come vento, e arriva delicato a noi, come una carezza che solo una mamma sa dare.
Niente è stato più come prima.
Per anni nasconde e tace il suo dolore. È solo con Libera che ritrova una famiglia, e reagisce al suo dolore. Il suo Celestino, rimasto nel fondo di quella strada cui hanno teso un’imboscata a qualcun altro, adesso non è più dimenticato.
Un’altra mamma poco dopo racconta. È la mamma di Luca.
Mamma, torno in Calabria: se andiamo via tutti, chi rimane?
Una settimana dopo viene ucciso. Ma la sua mamma è orgogliosa che non si sia piegato al male.
Anche la moglie di Vincenzo racconta. Racconta un’altra storia di come se stai bene, DEVI dare il tuo bene a loro. Attività messe al rogo, orgoglio piegato.
Ma bisogna fare le cose buone, come diceva Vincenzo, non ci sono compromessi.
Arriva la parte finale. difficile e impervia davvero.
Lollò era lì. Lì dove sono stati trovati i suoi resti. Lì dove il suo carceriere, pentito, aveva detto che ne avrebbero trovato il corpo.
Oggi ci sono sassi colorati, al posto dei fiori.
Oggi Deborah e la sua mamma raccontano la loro storia, e la storia del loro Lollò: non perché vogliano compassione, ma perché vogliono azione.
E ricordano che il dolore più grande per i parenti che rimangono, oltre la perdita, è spesso il non poter avere una tomba su cui piangere, restando nel limbo di una speranza che difficilmente muore, sebbene la coscienza dica che è tutto finito.
Non mi avvicino, resto a guardare in silenzio. D’improvviso mi assalgono la stanchezza e la sete.
Si ritorna. Ma il cammino per me rimane incompiuto.
Più tardi Don Ciotti dice che oggi abbiamo risalito la montagna per scendere in profondità verso noi stessi.
È vero.
Ma credo mi toccherà risalirla ancora tante volte.