Di che vuoi parlare oltre che del caldo?
Il tizio accanto a me mescola il caffè e flette la testa rasata verso sinistra. “Non si può vedere sta roba” dice mentre drizza il collo e posa il cucchiaino sul piattino verde. E allora io, che il caffè ancora lo sto aspettando, guardo lo schermo della Tv là in alto a sinistra e vedo un filmato artigianale lento, tagliato a cazzo, noioso, con musica di sottofondo di pessimo gusto che si alterna a stridenti voci di sottofondo. Ci sono bambini che si tuffano da una barca, poi forse ci sono anche altre cose, ma io ho già perso interesse e guardo il caffè sgocciolare dall’ugello smaltato della macchina. “Si, non è un gran bel video” dico e sbadiglio.
“Ma no, mica quello, il video è anzi bello. É che con questo caldo è una sofferenza vedere gente al mare” ribatte. E appoggia la tazzina sul piattino. Il cucchiaino cade a lato sul bancone del bar. Noto un nome tatuato a caratteri gotici sull’avambraccio e altri tatuaggi di dubbio gusto. Avrei dovuto capire.
“Già, il caldo, vero” dico. Osservo la chiave di violino tatuata sull’indice della barista mentre mi allunga il caffè sul piattino.
“É il video delle vacanze della mia famiglia” dice. “Quello che si tuffa è mio figlio.”
“Bello, beati voi” approva il tizio di fianco a me.
“Ma sì, che caldo però anche là” fa lei guardando lui e disdegnando me.
Io dico: “c’è caldo dappertutto oramai”, ma oramai sono un reietto e nessuno mi considera più in quel ristretto consesso. E in effetti, mentre con il piede scavo le mattonelle del bar nel tentativo di fare una buca bella grande dove scomparire per sempre, sudo.
Uno dei versi più famosi di Venditti è “ma come fanno le segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati”. É famosa per la forzatura sul piano della metrica più che per il senso. Anzi, il concetto si può dire che è ormai superato. La pornografia ad esempio ha finalmente sdoganato questo concetto retrogrado. Oggi le segretarie mi pare di capire che hanno tutte gli occhiali e gli avvocati spesso si prodigano per aiutarle a pulire le lenti. Giusto. Ora, la barista di cui sopra è una ragazza di un non precisato paese oltre la ex cortina di ferro. La butto lì: Moldavia. L’altro giorno ho visto suo marito. Un uomo parecchio insignificante, decisamente panzuto, con tatuaggi dozzinali e la maglia rossa del corriere Bartolini. In questa presunta Moldavia secondo me le cose funzionano ancora come ai tempi delle segretarie di Venditti. Con la differenza che le segretarie sono bariste e gli avvocati corriere espresso. L’obiettivo rimane però identico: sistemarsi il prima possibile badando più alla sostanza che alla forma della pancia. Il che ha anche i suoi lati positivi e io non voglio mica che si creda che io e i miei coetanei cresciuti sotto il patto atlantico siamo più svelti. Questo è anzi un bell’argomento di discussione interdisciplinare. Provo ad accennarlo al tizio che mi sta seduto di fianco nel dehòr all’esterno del suddetto bar mentre osserviamo una Cinquecento rossa rifornirsi alla pompa numero 6. Ha una camicia bianca pezzata sotto le ascelle, un gelato al cioccolato bianco in mano e l’aria di uno che può effettivamente attraversare diverse discipline.
Tuttavia quello che mi sa dire in risposta è solamente un: “c’è un cazzo di caldo che non riuscirei manco a sbattermela la barista” che riguardo la questione da me posta di discipline né sfiora giusto una soltanto.
Perciò dico boh, forse hanno ragione quelli che dicono che più se ne parla sui social e più la gente si fissa. Quindi credo sia inutile insistere, tutti parlano solamente del gran caldo. Sposto l’auto alla pompa di rifornimento. L’omino del rifornimento si avvicina sudato e trafelato. Mi chiede quanto. Venti, faccio io. Poi si asciuga la fronte con un fazzoletto e capisco che sta per parlare.
“Non mi dire niente, guarda. Un cazzo di caldo” lo precedo io.
Ma quello mi guarda stralunato e fa “ma guarda, più che il caldo a me preoccupa il governo. Ma che stanno facendo quelli? Nella situazione in cui siamo litigano come bambini?”
Il governo, giusto. Per fortuna non c’è solo il caldo.
Poi guardo i litri che mi ha messo in serbatoio per venti euro.
Il governo, giusto. E il prezzo del carburante, giusto. Per fortuna non c’è solo il caldo.
Per fortuna, proprio.