Ma nell’uomo non ci crede più nessuno?
Allora, oramai sono passati un po’ di anni e sicuramente avevo qualche capello in più, ma bisogna anche dire che fisicamente stavo a posto allora e sto a posto adesso e quindi almeno su questo non c’è di che lamentarsi come fanno certuni che è tutto un male di qui e una pancia di là. E poi anche bene in quel momento in testa c’avevo la cuffia perché me ne stavo in piscina a bordo vasca e a esser sinceri non c’avevo proprio voglia di sbracciare con la destra e manco con la sinistra. In testa mi ronzavano delle oggettive latine cui non c’era verso di trovare il corrispondente italiano. E quando le cose non giravano come volevo io quelle cose me le portavo ovunque. Anche in piscina. Così eccomi fermo da un po’ con la schiena alle mattonelle azzurre, l’acqua allo sterno, lo sguardo alla mano destra che schiaffeggiava ritmicamente l’acqua e il pensiero a quella frase fabrum esse suae quemque fortunae. E a proposito di uomo, mentre me ne stavo così affaccendato, mi si presenta un tale di codesta stirpe trafelato per la vasca appena coperta a colpi di bracciate.
Codesto uomo non c’aveva voglia più di me di mulinare braccia e gambe quel giorno. Così abbiamo improvvisato una discussione futile, mentre coloro che in piscina c’erano venuti per nuotare e non per dimenticare perifrastiche e chissà che altro ci maledicevano a ogni giro di vasca. Non ricordo perché siamo finiti a parlare di montagna. Forse perché eravamo entrambi appassionati, forse perché quel giorno le distese di acqua ci attraevano tanto da pensare al loro esatto contrario.
Poi questo d’un tratto mi fa: sull’Everest ci può andare un po’ chiunque. Io non ero molto convinto di questa affermazione. Ho guardato una donna che mi ha chiaramente tirato un accidente e ho detto: metti che uno ha le vertigini. Ci sono i farmaci, mi dice lui. Li hanno studiati apposta.
Metti che gli manca una gamba. Ti ci portano con dei mezzi, un modo lo trovano.
Metti che ha l’asma. Idem (però qui non era tanto sicuro di quello che ha detto e ci ha pensato un po’).
Insomma tutta una serie di batti e ribatti il cui fine ultimo era dimostrare che non c’erano limiti al desiderio dell’uomo di dominare tutto e tutti. L’ultima frase di prima che ritentassi una mezza vasca a rana è stata: un tempo no, ma ormai si può tutto.
Tutti i torti non ce li aveva, intendiamoci. Appena tornato a casa, per dire, ho cercato la frase latina su internet e ho capito il perché e il per come e pure che la frase era di Sallustio. Ecco, anche solo una decina di anni prima avrei continuato a portarmi quel rospo in giro tutto il giorno. Però mah, qualcosa non mi piaceva di quel modo di pensare.
Qualche giorno fa vagavo in internet a cercare ipotetici viaggi in montagna. Poi mi sono un po’ stufato perché costava tutto troppo e allora ho detto fanculo e ho aperto una finestrella nuova e digitato facebook. Non credo ci sia bisogno che vi spieghi che le pubblicità riguardassero tutte alberghi alpini. La maggior parte erano pacchianate tremende con coppie che limonavano su terrazze che davano su un povero Cristo di Cervino o famigliole felici e anche molto ariane che guaivano di gioia nell’osservare mucche stranamente senza mosche e senza merda addosso. Ma una mi è rimasta impressa: pubblicizzava gite niente popò di meno che al campo base dell’Everest.
Perché alla fine è proprio come diceva il tizio della piscina. Al netto di una montagna (non c’era altro termine?) di soldi, l’uomo può andare dove vuole, fare quello che vuole. Perché la tecnica ormai ci permette tutto. E chi si accontenta di fantasticare quando ci sono alberghi dentro le montagne, sherpa che ti portano in spalla ecc. ecc. Come diceva Camus, siate realisti e chiedete l’impossibile. La tecnologia ve lo spedirà a casa come un pacco di Amazon.
Finché non succede l’irreparabile, finché non piove e le montagne vengono giù a pezzi. Ma ancora si pensa: oh quanto ci mette la tecnologia a risolvere sta cosa del clima? Come se la tecnologia fosse una cosa a parte e noi solamente clienti, fruitori di un servizio per cui paghiamo le tasse. E forse è davvero una cosa a parte rispetto all’uomo, come quegli algoritmi che spadroneggiano la mia timeline e vorrebbero mandarmi in un hotel con le coppie che limonano, le famiglie ariane e le mucche che fanno mu.
Ma qualcuno crede ancora nell’uomo? Io non credo. Forse abbiamo detto troppe volte che è brutto e cattivo e adesso nessuno si fida più di lui. Quindi inutile chiedergli di migliorare, di accettare i propri limiti, accontentarsi di fantasticare, collaborare, comprendere esigenze, capire gli errori. Tanto non ce la farà mai. Meglio la tecnologia. Suvvia, scantati, che pago a fare le tasse?
Eppure, come diceva Sallustio, l’uomo rimane pur sempre l’artefice del proprio destino. Che non è individuale, ma collettivo. Che non deve essere per forza dominare il mondo, ma viverci con intelligenza, che non è detto sia quello di conoscere e scoprire tutto, ma come gli antichi usare la fantasia e non solamente la ragione.
E poi, se mi fossi impegnato di più quella frase l’avrei potuta tradurre con la mia testa, senza bisogno della tecnologia.