Nino
È strano leggere un testo che ne contiene altri, di un drammaturgo che conoscevo solo di nome, mio conterraneo e distante dalla mia vita qualche decennio e venirne ammaliati, restarne straordinariamente scandalizzati.
È strano, sì, ma è bellissimo.
Nino Gennaro è nato e cresciuto in una Corleone che l’ha costretto, nel 1977, a spostarsi a Palermo, dove le ostilità dell’intero paese per il suo anticonformismo e il suo impegno politico antimafia potevano essere lasciate alle spalle. È una figura eclettica, un genio culturale che ha compiuto una scelta di libertà, pagandola con la marginalità che gli anni sessanta-settanta riservavano a quelli come lui. Prima animatore di un circolo giovanile socialista, poi fondatore di un circolo indipendente dedicato al sindacalista Placido Rizzotto ucciso dalla mafia. Nino, con il suo fare, le sue idee, la sua vita, raccoglie intorno a sé un gruppo di giovani tra cui alcune ragazze minorenni, con cui legge libri, affronta temi di discussione proibiti o sconosciuti, e con essi il vento di un desiderio di libertà e di cambiamento che nel resto d’Italia e del mondo già si respirava da un decennio. Negli anni in cui Peppino Impastato conduceva la battaglia che gli costò la vita, Nino invitava i conterranei a ribellarsi all’impero mafioso, urlando con forza che Corleone non era una repubblica indipendente e i corleonesi non erano tutti gregari del boss Liggio.
Un’operazione pazzesca quella di Nino, che cerca di far emergere che c’era e c’è un’altra Sicilia, quella che non va sotto i riflettori, che fa fatica a campare, arranca, ma che è un’esplosiva risorsa di idee, umanità, creatività, e diviene arma per battere il sopruso criminale e la rassegnazione.
A Palermo continua il suo impegno politico nel movimento universitario, per il diritto alla casa e i diritti degli omosessuali, e incontra il regista italo-argentino Silvio Benedetto che gli insegna l’arte di recitare. Da quel momento inizia la sua avventura teatrale, con la creazione all’inizio degli anni Ottanta di “Teatro Madre”, un gruppo nomade di amici, attori e non, che metteva in scena in modo spartano i suoi testi scritti, portandoli nei luoghi non propriamente teatrali di Palermo: università, biblioteche, locali e nelle case.
E l’ho letto “Teatro Madre”, questo testo che è tanti testi, l’ho letto tutto d’un fiato e poi l’ho riletto ancora. Una scrittura frammentaria, visionaria ed esasperata che rivela una verità tanto scandalosa quanto travolgente. Nino mi ha distrutto, ricordandomi anche altri grandi del teatro siciliano contemporaneo, come Franco Scaldati, Emma Dante, Davide Enia.
“Tutta la mia vita, tutta la mia produzione, vogliono dire e dicono dei nostri territori-corpi colonizzati da fascismi, mafie, clericalismi, oppressioni-repressioni e di lotta senza quartiere per dis-interiorizzare, non collaborare. Perché il capolavoro di ogni potere è rendere labile o annullare i confini tra vittima e carnefice, farti complice del suo dominio, della sua logica di dominio. Mondo di lutto, di sottomissione, di psicofarmaci, di miseria e di morte. Ripeto, io dico no, a questa morte.”
Nino, rivoluzionario, fuori tempo, essere umano capace di sradicare la normalità, sensibilità estrema, potere delle parole. Nino Gennaro è talmente tante cose che anche solo provare a definirlo è tentativo vano.
Solo una possibilità rimane: leggerlo. Leggete Nino, ponetevi nell’approccio con i suoi testi con la libertà che purtroppo abbiamo perso. Eliminate i giudizi, siate liberi di leggerlo liberamente, e stupitevi, perché Nino vi arriverà alle viscere, ne sono certo, Nino vive in quelle parole, vive in Una Divina di Palermo, ne La via del Sexo, in Rosso Liberty,in Teatro Madre, in Alla fine del Pianeta.
Nino è lì.
“O si è felici, o si è complici”.
Foto 1 da La fine che non ho fatto Centro Sperimentale di Cinematografia Palermo (undo.net)