The Word girl (an 80s music tale)
Francesca ha 19 anni, quasi 20. Ha sempre studiato con piacere, è andata a scuola un anno prima, ha fatto le magistrali e adesso, così giovane, è al terzo anno di università. Lingue e Letterature straniere, in onore al suo pezzo di dna statunitense e al suo amore per la letteratura e per la musica, soprattutto il post punk e gothic britannico. The Cure su tutti.
Francesca vuole viaggiare, e pagarsi le vacanze-studio da sé. Per questo, mentre è sui mezzi verso le lezioni con le cuffiette e Sade che suona nel suo walkman rosso e blu, fa i conti mentalmente per vedere se il viaggio aereo e il soggiorno estivo scappano fuori anche stavolta, col gruzzoletto raccolto dai suoi tanti lavori. Babysitting, aiuto compiti, supplenze, servizio ai pub e ultimamente quello che la diverte di più, corista e percussionista in varie cover band universitarie, tipo quella fondata dal chitarrista-songwriter biondocrinito e barbuto Marco, “un bicchiere di talento in un mare di presunzione”, per citare Vasco.
Marco era un ex allievo della madre di Francesca, pittrice e insegnante di Storia dell’Arte, nonché figlio di una sua collega. Un giorno, tornando a casa la mamma per scherzo aveva detto che la sua band cercava una corista che avesse non solo il look ma anche la voce per fargli fare bella figura alle sagre e ai matrimoni. Francesca, serissima, si era candidata. La voce c’era, intonata e suadente, e anche il look. Alta e robusta, con l’occhio allungato del padre musico siciliano, l’aspetto nobile dell’antenato conte madrileno, i capelli selvaggi della nonna strega calabrese e la vocazione calvinista al lavoro di bestia da soma. Francesca era perfetta, al provino con Marco sbaraglio’ le concorrenti a mani basse, senza dover neanche rivendicare di essere figlia della sua ex prof. Così incomincia, per un paio d’anni, l’avventura musicale dei Nashira, questo il nome della band, da una stella giapponese tanto amata da Marco.
Purtroppo per lui una delle due coriste, Francesca, è tanto carina, graziosa ed educata quanto intelligente, puntigliosa e preparata, cresciuta in mezzo a cugini maschi per cui già svezzata sulla pochezza di genere, e per niente intimidita da loro. L’altra corista, la bellezza mononeuronale rappresentata dalla sua ragazza, per giunta stonata, anche. Che si era infilata a forza nel gruppo per controllare il suo amore frontman e per paura che glielo violentassero, il suo fiore di cactus. Tra Fran e Marco c’era un profondo rapporto di amore-odio; due caratteri simili e fieri, ma lei era sincera e pura, lui un pallone gonfiato. Che suonava la chitarra alla grandissima ma cantava male e pronunciava l’inglese peggio. E Fran, con i suoi modi garbati e implacabili, glielo rendeva noto, alla prima occasione.
Ma erano un belvedere, i Nashira, alle sagre e ai matrimoni. Marco, i compagni, le due coriste invasate e le ottime cover di pezzi di Metheny, Cock Robin, Culture Club, Mike Oldfield, e qualche pezzo italiano, tipo Concato o De Gregori, e anche canzoni originali sue. Tanto che li chiamano ad un concorso canoro in una tv locale. La sera dello show, il piccolo, soffocante studio era gremito di parenti e amici di Marco e compagni, molti in assetto di guerra per le riprese caserecce dei loro eroi. Francesca di solito ricorreva, per le riprese, al fresco fidanzato tuttofare e artista, un narciso toscoemiliano vissuto 15 anni in California, dagli occhi di zaffiro e la faccia di bronzo, che diceva di amarla alla follia. Quante cazzate si dicono. E come sempre, quando serviva, non c’era mai. Quella sera era impegnato in un lavoro, e aveva mandato il suo migliore amico, un grafico pubblicitario convertito in tassista che la adorava e la chiamava “principessa”, insieme alla fidanzata a fare le riprese con la sua nuova telecamera. Francesca era comunque contenta, avrebbe avuto il filmino dello show da far vedere al suo moroso.
Quando tocca a loro in un complicato adattamento del repertorio di Metheny, e salgono colorati e frizzantini sul palchetto, all’amico-cameraman scatta il guizzo di artista, sale con un balzo davanti alle coriste saltellanti, per un primo piano. Fran ha il tempo di fare l’occhiolino in camera e ammirare il bel colore melanzana della faccia del cantante, che coi capelli biondi, pensa, ci sta pure bene. Poi due scimmioni della sicurezza prendono di peso l’amico e lo trascinano giù. A fine show il “bravo presentatore” annuncia le band vincitrici. I Nashira sono secondi dopo un gruppo eccezionale che faceva cover di Pino Daniele in chiave jazz. “Hai visto principe’, sei contenta?” Le urla l’amico sollevandola come un trofeo. “E io ho ripreso tutto, sai, poi te faccio vede”. Francesca è contenta davvero. Si avvicina al band leader festante come un cane: “hai visto, secondi, mica male, no?” E quello risponde in un unico sibilo: “la prossima volta Spielberg te lo tieni a casa, intesi?” Come un cane bastonato Francesca si ritira, ma dopo qualche minuto le monta la comprensibile rabbia e lo affronta: “ma che cazzo c’entro io, mica lo sapevo, io, che sarebbe salito sul palco, e che avrà fatto mai, di tanto grave… forse ti rode perché ha ripreso solo noi ragazze, magari?” Mutismo ostinato da parte di Marco; si limita a lanciarle uno sguardo vacuo di odio azzurrino coi suoi occhietti miopi. Che lei raccoglie, sdegnosa, per girare i tacchi e tornare a fare baldoria coi suoi amici cari.
Evviva.