Furto 39 – I miglioroni
“Molto bene, molto giusto”.
È iniziata per caso una sera di inizio settembre.
Ero al Festival dei Mondi, in un’Andria pregna di bellezza, e di teatro, e di giovani, e di creatività. Con Sara ci fermiamo a parlare di ciò che abbiamo visto e sentito sui palchi sparsi per la città, con voli di pensieri a ciò che il teatro inevitabilmente e fortunatamente ti rumina dentro se lo lasci libero di penetrarti.
“A breve parte il laboratorio della Compagnia Licia Lanera, perché non vieni?”
SBEM.
La verità è che quando cambi città, regione, vita, ciò che perdi, tutto quello che avevi costruito ti manca e trovare nuovi mattoni su cui poggiare i piedi e guardare oltre al possibile non è facile, non è scontato.
E non lo è stato, in questi anni di tentativi e sgretolamenti baresi.
Quando poi razionalità e scetticismo fottono il posto all’istinto e alla passione, tutto diventa macchinosamente e inutilmente complicato.
“Pronto, Danilo Giuva, sono Luca, vorrei qualche informazione sul Laboratorio Agli Antipodi”.
Nuovi volti, persone che non ho sentito subito affini, forse perché affine a loro non volevo essere io.
È stato un percorso che è diventato una scoperta, lenta e stravolgente, a tratti dolorosa. Ripartire dal corpo, dalla parola e dalle parole, credere ancora una volta alla potenza salvifica del teatro, a quella luce che teniamo nascosta dietro ombre che vogliono respirare, la nostra luce vuole venire fuori, vuole vedere ed essere vista. Volti, persone, la libertà di sentirsi bene senza per forza sentirsi immediatamente un tutt’uno, esseri umani pazienti e avvolgenti, come coperta d’inverno.
Ieri eravamo in sedici sul palco del Teatro Kismet, eravamo in sedici e ci siamo scoperti uno, e questo uno ha portato in scena uno spettacolo che è stato davvero uno spettacolo, perché parlava di noi, parlava del nostro sudore, delle risate, delle lacrime, delle birre in piazza Garibaldi, dei passaggi in macchina e delle lunghe passeggiate, delle ore a fare memoria al telefono, parlava degli occhi dentro gli occhi, parlava di noi e di quella fiducia che solo chi ha imparato a volersi bene può avere, solo chi si vuole bene. Ed è un’emozione a cui non riesco a dare un nome che già esiste, perché non gli renderebbe giustizia. Così voglio chiamarla gelato, perché mi ricorda quelli che abbiamo mangiato a casa di Roberta e che ci hanno resi più felici di quanto già eravamo. Sì, è gelato quello che sento per voi. E allora ti gelato Rosanna, vi gelato Giovanni, Martina, Silvio, ti gelato Ilariapeperina, ti gelato Roberta, vi gelato Maria Clara e Maria Antonietta, ti gelato Giuseppe, ti gelato Ennio, vi gelato Simone e Paolo, ti gelato Filippo, vi gelato Nina e Silvia, vi gelato Licia e Danilo, ti gelato Saretta (e grazie!).
Siete davvero “i miglioroni”!