Sempre musica è
Ogni volta che sono impegnata nel sociale per lavoro, politica o svago, mi ritrovo a parlare di musica o con musicisti o artisti che gravitano in questo mondo.
Io che non sono una musicista ma che, quando mi sono innamorata di mio marito, ho accolto nel mio cuore il “pacchetto completo” e adesso parlarne mi riempie il cuore e le giornate.
Per cui credo che sempre musica è, e quindi mi ritrovo a un incontro politico in mezzo a musicisti e addetti ai lavori.
Marco Canzoneri è uno di loro: autorevole oratore invitato a conversare di musica.
Siamo amici virtuali da un po’ di tempo, dal giorno che ci siamo incontrati in altri ambienti palermitani vicini al mondo della musica. Il suo intervento è carico di passione per il mondo del teatro d’opera e, guardando i suoi occhi chiari che spiccano in un volto scarno incorniciato da una lunga barba, mi frullano alcune domande:
Come un giovane si sia appassionato al melodramma e cosa abbia influenzato la sua scelta professionale?
Quali siano state le sue prime esperienze nel mondo della lirica e quali aneddoti ricorda con il sorriso?
Intanto lo ascolto e scopro il suo impegno politico e la sua visione del teatro “sociale” e, infine, il cerchio si chiude con la collaborazione con il Teatro Massimo di Palermo e dell’opera di Roma .
Come dicevo, sempre musica è, e quindi lo invito a rispondere a tutte le mie curiosità; lo fa con un tale entusiasmo che mi sembra doveroso riportate le sue parole in modo fedele.
La mia è stata una scelta professionale (quasi) obbligata. Da bambino, infatti, con mia madre ascoltavamo molta lirica, specialmente Puccini, e Wagner. Io stesso giocavo a mettere in scena qualsiasi cosa e nel tempo, in ascolto, pensavo ossessivamente ad immagini tridimensionali relative alle stesse esperienze musicali che vivevo. Specialmente contemporanee. Ho sempre amato, spesso inconsapevolmente, la tensione che scaturisce dalla narrazione musicale esoterica e il suo fine essoterico.
Ho sempre cercato la condivisione delle idee e nel tempo ho imparato a riconoscere personalità sommerse che avrebbero potuto esprimere realizzazioni artistiche e possibili teatrali notevoli se solo avessero avuto possibilità e, ovviamente, indicazioni in merito; ero già dentro il mondo della Direzione Artistica senza saperlo ancora.
La mia prima vera esperienza in Direzione Artistica la devo senza alcun dubbio al Maestro Oscar Pizzo, allora Direttore Artistico della Fondazione Teatro Massimo, e a Francesco Giambrone, più che sovrintendente un padre per lo stesso Teatro Massimo. In realtà la “gavetta” la devo interamente al Teatro Mediterraneo Occupato. Un Padiglione della Fiera del Mediterraneo che con coraggio abbiamo occupato, sottraendolo così all’incuria delle varie amministrazioni, per regalarlo a una città in dispnea che allora affannava alla ricerca di spazi artistici fruibili e di tempo creativo.
Questa esperienza politica è stata di fondamentale importanza per la mia formazione e per il mio modus operandi.
Fra gli aneddoti che amo maggiormente c’è sicuramente la costruzione del Dittico operistico Schönberg/Bartók affidato ai Ricci/Forte da Oscar per il Teatro Massimo. Importante perché nel tempo mi ha rivelato il fondamentale e imprescindibile ruolo di una vera Direzione Artistica e non meramente “organizzativa” all’interno di un qualsiasi Spazio di Rappresentazione. In effetti nacque tutto da un mio suggerimento, quello di “guardare” con attenzione un lavoro storico del duo registico, in scena, in quei tempi, al teatro Biondo di Palermo. L’idea di inserire nel mondo dell’Opera Lirica Gianni e Stefano arrivò quella stessa sera in maniera netta e irrinunciabile durante la partecipazione fisica ed emotiva a cui lo spettacolo Still Life obbligava lo spettatore. Così iniziò la “ricerca”, un passaggio affatto banale ma molto impegnativo. Di conseguenza bisognava individuare un’Opera capace di entrare, oserei dire in realtà “sciogliersi”, nel percorso psicodrammatico e teatrale degli artisti in questione. Ripensare, quindi, opere musicali in grado di essere percepite come parti di un discorso drammaturgico più ampio. Così, infine, la scelta verté su Die GlücklicheHand e su Il Castello di Barbablù. Due opere che fissavano l’attenzione sul superamento del mito del Superuomo e sulla trascendenza insita nella carnalità umana. Una carnalità che insiste verso una Salvezza eterna irraggiungibile ma non per questo meno desiderata. Questo è un atto di Direzione, un atto artistico da parte di una Istituzione in grado di realizzare in comunione con artisti designati un percorso nuovo e sconosciuto, ma sempre conscio di una certa tradizione, che si rinnova al cospetto del nostro contemporaneo. Peccato che in Italia le Direzioni illuminate siano sempre meno, e che i Teatri spingano per “organizzazioni” cieche e senza un prospetto concettuale. E non sapete quante economie possano essere risparmiate, attraverso “certi” percorsi lavorativi…
Certo ricordo sempre con grande piacere quando mettemmo su uno spettacolo “per via telefonica” con Salvo Piparo qualche ora prima della Prima.
Erano i primi tempi del TMO e le emergenze ci rendevano ancora più forti.
Il cosiddetto Teatro Sociale, sintagma che detesto dal profondo del cuore, in realtà è stato sempre una mia priorità.
Dalla splendida esperienza teatrale con i ragazzi affetti da Sindrome di Down fino a OperaCityDanisinni. Progetto, quest’ultimo, che ha influenzato in maniera decisiva il mio esserci all’interno di una Istituzione come la Fondazione Teatro Massimo. Nacque tutto da una felicissima intuizione di Francesco Giambrone che individuò nel quartiere difficile di Danisinni, a Palermo, un humus ideale per cercare di riportare l’opera lirica la dove in realtà dovrebbe stare, fra il popolo. Un progetto che voleva immergersi in un contesto produttivamente svantaggiato per riuscire a costruire in sinergia con le forze del quartiere stesso un ponte artistico e incessante fra il doppio ruolo dell’Istituzione e la volontà delle periferie di partecipare attivamente alle politiche culturali e sociali della città.
Qui gli aneddoti sono talmente tanti che non saprei neanche da dove iniziare.
Un’esperienza emozionante, coinvolgente e per certi versi commovente che continua dal 2018, covid e buchi finanziari permettendo, ovviamente.
L’Opera di Roma c’è sempre stata, essendo comunque legata al maestro Oscar Pizzo per ovvie ragioni. Poi nel 2021 entrando a far parte della squadra di Direzione di Eur Culture Per Roma la cosa è stata più che naturale dato il legame già esistente fra i due enti, e soprattutto fra il Direttore Oscar Pizzo e il sovrintendente Carlo Fuortes. La nomina di Francesco Giambrone ha poi determinato un legame anche affettivo. Insieme abbiamo lavorato per mesi a un progetto con la regia di Romeo Castellucci dove ho anche ricoperto il ruolo di Director Manager, un collante artistico e organizzativo che lavora sia internamente alla Produzione che come supervisore. Insieme abbiamo realizzato un film opera andato in scena alla Nuvola, insieme stiamo pensando a un’Opera contemporanea che potrebbe avere una grande eco nella città di Roma.
Non nascondo che considero il Costanzi un’altra casa.
La situazione del teatro d’opera in Italia non è fra le più rosee, anche perché le assenze di Direzioni rendono spesso le stagioni operistiche anacronistiche e lontane anni luce dal pubblico giovanile. E non sempre si incontrano sovrintendenti illuminati come Francesco Giambrone, Carlo Fuortes o Paolo Cantù. Poi la politica fa il resto. I Teatri bisognano di competenze vere e forze fresche per riproporsi come motori culturali e non di “amici degli amici” politicamente “rilevanti”. Non è soltanto questione di soldi, e io lo so bene. Ricerca, apertura alle città, sinergie con le periferie, sinergie fra istituzioni, tutti elementi che devono necessariamente esserci ed essere in grado di sposarsi con un continuo investimento sui giovani e sulle ultime avanguardie artistiche.
È il tempo stesso che ci riporta la storia e la tradizione, non c’è alcun bisogno di cercare di cristallizzare l’Opera rendendola uno spettacolo museale per pochi intimi.
Da qualsiasi prospettiva vogliamo avvicinarci al teatro d’opera ci accorgiamo che coloro che lo frequentano restano folgorati perché sempre musica è.
Foto 1 di Pixabay: https://www.pexels.com/it-it/foto/foglio-di-musica-che-mostra-le-note-musicali-534283/