Il silenzio dei ventanni
Allora si era in quel periodo in cui non si dicono molte parole. A dieci anni si parla tanto, a tredici si parla male, a sedici si parla troppo. Ecco, ventanni è una di quelle età in cui conviene prendere un momento per stare zitti e ricalibrare un po’ il tiro. Voglio dire, a ventanni la barba la si è fatta già un centinaio di volte e queste sono cose che prima o poi vanno messe in ordine. Che poi quando la vita riparte si va forte ma per davvero e si rischia di rimanere con la barba in disordine e il rasoio dove l’ho messo non lo so.
Noi a queste cose non pensavamo mica. Stavamo seduti sul muretto dell’autogrill e chissà, forse credevamo che ciò che si doveva fare si era fatto, ciò che si doveva dire si era detto, ciò che si doveva sognare si era distrutto. Oppure non pensavamo a nulla, eravamo solamente degli inconsapevoli monaci zen usciti da un periodo punk che meditavano sulla fiumara di auto che passava dinnanzi a loro.
Il mio amico era stato bocciato a ogni prova che la vita gli aveva posto dinnanzi. Scuola, patente, cintura gialla di judo. Persino a catechismo. Non scherzo. Il prete non lo ammise alla cresima perché non si presentava mai. A volte, quando stavamo sul muretto e osservavamo il mondo sfrecciare su quattro ruote, mi voltavo a guardarlo e pensavo a quanto fosse meravigliosa una persona che uscisse da ogni pozzanghera con il fango fin sui capelli e dopo una doccia tac, eccotelo come nuovo. Mentre io avevo passato ventanni a maledire specchio, cielo e avi a ogni singolo schizzo di fango sul bordo delle scarpe.
Avevo un gran bisogno di tacere effettivamente.
Poi una sera, e credo che fossero due mesi almeno che passavamo le nostre serate in silenzio su quel muretto, lui mi disse: quell’uccello sul ramo era lì anche ieri. Il sole era scomparso da un pezzo ma ancora il cielo permetteva di vedere attraverso i rami degli alberi.
E quindi? feci io. E quindi niente, rispose lui.
La volta seguente fui io a fargli notare che l’uccello era ancora lì. Non ne capivamo il motivo, ma entrambi eravamo infastiditi da quella presenza.
Infine un giorno il mio amico disse: mia nonna diceva che un uccello su un ramo non è un problema. Ma se sta tanto tempo lì, finisce che nidificherà. E poi non ce lo togli più.
Rimasi in silenzio per un minuto buono. Poi risposi con un semplice sì.
Credo che in ventanni di vita fosse la prima volta che qualcuno lo promuovesse in qualcosa.
Da quel giorno non ci siamo più seduti su quel muretto dell’autogrill.
A dire il vero ci siamo anche un po’ persi di vista.
A volte passo di lì in autostrada. Guardo dritto. Però tendo le estremità delle labbra verso gli zigomi.
Sempre. Perché sono quello che ho detto, ma anche quello che ho taciuto.