6a Tappa: Da Bivigliano a Firenze
6a Tappa Arrivo! Da Bivigliano a Firenze 18km 250 mt dislivello.
Il fango si attacca alle suole e rende i passi poco stabili. Si scivola. Il fango si attacca alle suole e con un effetto ventosa ti tira giù. A ogni passo le scarpe si incollano al terreno e bisogna usare più forza per alzare il piede e poggiarlo più avanti dove si impantanerà di nuovo.
La terra trattiene ogni passo, come a voler dire “resta, non andare oltre. Ciò che troverai al di là di queste valli, alla fine di questi sentieri, ti farà rimpiangere di averci lasciato. Allora resta”. A ogni passo le sirene del bosco escono invisibili per trattenere i camminatori; ma chi va per quei sentieri ha una meta nel cuore che lo rende sordo ai loro canti. I viandanti lo sanno che c’è sempre un nuovo orizzonte, una nuova salita, un’altra spianata e una nuova meta e che per ognuna, oltre la stanchezza, i dolori e la fatica, si nasconde una gioia maggiore del canto delle sirene del bosco.
Finalmente, e purtroppo, è l’alba dell’ultima tappa. Il percorso è breve così ce la prendiamo abbastanza comoda. Ogni tanto ci giriamo indietro per cercare di capire da dove siamo venuti e quanta strada abbiamo fatto, un po’ come durante la prima tappa quando ci giravamo alla ricerca di San Luca che diventava sempre più piccolo dietro di noi. Ogni tanto però allunghiamo anche il collo per cercare di capire quanto manca, e a un tratto la nostra curiosità viene ripagata, perché finalmente, in lontananza in mezzo a due colli, si scorge l’inconfondibile e maestosa sagoma della cupola del Brunelleschi. Vedere la meta un passo sempre più vicina è un’emozione bivalente: se da una parte siamo felici di essere riusciti a concludere il nostro viaggio, dall’altra c’è un po’ di amarezza perché arrivati a Firenze sarà tutto finito e dovremo salutare per sempre le colline, le spianate erbose, i boschi di roverelle, le pinete, i sentieri e anche le salite fangose.
Ad ogni passo le sirene del bosco escono invisibili per trattenere i camminatori
Da una bellissima collina erbosa attraversata da due strisce marroni di terra, ci inoltriamo verso una zona con una vegetazione un po’ più fitta. Sono soprappensiero, come sempre, e non mi accorgo di un rumore particolare alla nostra sinistra, è Mario a richiamare la mia attenzione su quel gracidare; nascosto dietro un ammasso di rovi bassi, c’è un laghetto in cui un gruppo di rane sta tenendo un concerto tutto per noi. Mi appropinquo oltre i rovi per ammirare da vicino quei validi tenori salterini, ma sono timidi e appena mi avvicino troppo al loro palco si tuffano in acqua. Si sa, son fatti così i divi.
Continuiamo a camminare alternando zone in pianura, in cui riusciamo a scorgere Firenze che prende sempre più forma sotto di noi, a sentieri che passano per delle profumose pinete. La pioggia dei giorni precedenti rilascia un odore di bagnato nella pineta che ha un che di selvaggio e ammaliante: uno dei miei odori preferiti.
Il giorno prima mi ero resa conto di aver calcolato male la data di arrivo, così ho il treno per domani, e discutiamo un po’ se ritagliarci un’altra giornata campestre o approfittarne per tornare ed avere un giorno in più per riposare.
E quindi uscimmo a riveder Firenze.[/pullquote ]Mentre ci pensiamo siamo ormai arrivati a Fiesole, da lì Firenze la si può toccare stendendo una mano. La strada per Fiesole è asfaltata, la meno preferita da chi fa trekking, ma dopo tanto fango ci va decisamente bene. Percorrendola notiamo tutte le bellissime ville che la delimitano, sono tutte elegantissime ma soprattutto straripanti di fiori profumosi, soprattutto glicine. Addirittura una ha un arco di glicine bianco che delimita il portoncino d’ingresso, vorrei tanto odorarlo per vedere se ha lo stesso profumo di quello viola, ma è troppo in alto, me ne andrò da Firenze con questa curiosità.E quindi uscimmo a riveder Firenze.
L’arrivo a Piazza della Signoria avviene in un costante slalom fra persone, troppe per quelli che sono stati i nostri standard negli ultimi sei giorni. La città brulica di turisti intenti a rubare ogni attimo della bellezza che li circonda. Nonostante tutto, vedere la fontana del nettuno è emozionante, ha il gusto della riuscita, del trionfo, dell’essere riusciti a “guadagnare” qualcosa contando solo su se stessi. Inoltre a livello simbolico trovo divertente essere partiti da un Nettuno verso un altro (motivo per cui si chiama via degli dei). È quasi come incontrare una delle persone con cui hai fatto il cammino, è quasi confortevole ritrovarselo ad accoglierti.
Ma non c’è tempo da perdere con questi collegamenti strappalacrime. Perché ora la nostra (mia) sola preoccupazione è mettere l’ultimo timbro sul libretto delle credenziali del cammino e ritirare il gadget; ancora prima della foto di rito dell’arrivo in piazza.
Ritirato il gadget, fatta la foto, possiamo finalmente tirare un sospiro di sollievo e goderci il traguardo.
Il viaggio è stato avventuroso, emozionante, eccitante, preoccupante e tanti altri -ante-, ma soprattutto mi ha dato la possibilità di poter mettere molti punti fermi dove prima avevo puntini di sospensione. Che come dice qualcuno l’importanza del viaggio non è vedere cose nuove, ma vedere le stesse cose con nuovi occhi, filtrandole ed esaminandole attraverso le consapevolezze e certezze raggiunte.
Salgo sul treno, il cuore mi si stringe un po’. So già quanto mi mancherà il contatto stretto con la natura, i suoi tempi e i suoi capricci. Ma se non ci fosse una fine non si avrebbe nulla su cui meditare davvero.
Amilcare chiede di andare sulla cappelliera, dopo tanti giorni così a stretto contatto vuole i suoi spazi e restarsene solo con i suoi pensieri, lo capisco bene. Chissà se anche stavolta è malinconico ma soddisfatto come me.
E data cappelliera lo sento borbottare:
“Sì pronto, parlo con l’agenzia di viaggio Zaini nel mondo? Vorrei prenotare una settimana a Bali, un resort con piscina e barman stellati. Sì, solo uno zaino senza accompagnatore, grazie.”
Il mio Amilcare!