4a Tappa. Da Piani di Balestra a San Pietro a Sieve
4 Tappa da Piani di Balestra a San pietro a Sieve 32km 300mt dislivello.
La nuvola che ieri ci ha rincorso per tutto il giorno, oggi ci ha raggiunti. Da persone previdenti quali siamo avevamo calcolato anche la possibilità della pioggia, così insaccati in dei poncho di plastica scura che arrivano fino a terra e coprono anche lo zaino, iniziamo ad addentrarci per il bosco. L’aspetto è simile a quello di Ewok della luna boscosa di Endor, o anche di Hobbit che cercano di attraversare le montagne nebbiose, dipende da quanto siete nerd. Comunque immaginate due tipi incelofanati e bagnati in mezzo alla nebbia del bosco. Ecco, la nebbia.
A un certo punto anche lei decide di voler vedere dove stanno andando questi due loschi figuri così presto. Resterà con noi per tutto, TUTTO il cammino. Per ben 28km non solo non riusciremo mai a vedere oltre una certa distanza, ma saremo totalmente ignari sul cosa o chi ci sia attorno a noi.
avevo quasi dimenticato ci fossero altri esseri vivienti oltre a noi,
Siamo in cammino da meno di un’ora quando notiamo un cippo che ci informa che stiamo lasciando l’Emilia Romagna ed entrando in Toscana. Mi fa strano leggere su una pietra che si sta attraversando un confine regionale, piuttosto che su un cartello autostradale; da quand’ero piccola ho sempre viaggiato molto in auto e ora realizzare di percorrere tutta questa strada a piedi mi sembra quasi surreale.
Ancora più surreale è prendere la deviazione dalla strada principale che porta sulla Flaminia militare, una strada costruita dai Romani che porta da Bologna ad Arezzo. Stiamo camminando su una strada del 187 a.C., ci pensate quante cose potrebbero raccontare ognuna di quelle pietre? E’ emozionante il solo pensarci! Chissà cosa direbbero di due loschi figuri incappucciati che la stanno percorrendo in questo momento, così pieni di stupore.
Dopo quasi quattro ore di cammino incontriamo altre persone che camminano nel senso opposto, avevo quasi dimenticato ci fossero altri esseri viventi oltre a noi, e mentre penso questo mi rendo conto che siamo circondati da esseri viventi: piante, animali, alberi, insetti, anche la nebbia che continua a ovattarci la visuale sembra abbia una vita propria. Mezz’ora più tardi ci raggiungono altri camminatori conosciuti la sera prima al rifugio, sono partiti dopo ma hanno il passo più veloce del nostro, che abbiamo approfittato della situazione per crogiolarci in quel paesaggio sospeso e fingere per un po’ che non ci fosse nessun altro oltre noi due.
Arriviamo al passo della Futa che la nebbia è fittissima, dobbiamo attraversare la strada per una nuova meta: l’osteria! Una bevanda calda dopo ore sotto la pioggia e il freddo è quello di cui abbiamo più bisogno. Che poi con tutti i km fatti una cioccolata calda è come se l’avessi già smaltita no?
Il principio di uguaglianza spesso lo dimentichiamo o lo capovolgiamo a nostro piacimento, ed è per questo che resta una bellissima utopia.
C’è un unico e solo locale, almeno secondo le mappe, che raggiungiamo a stento. Siamo già tutti lì con l’acquolina alla gola, esprimendo desideri culinari vari, quando realizziamo che è chiuso: “giorno di chiusura giovedì”. All’esterno però ci sono dei tavolini, sotto una tettoia, riparati dalla pioggia e dal freddo; qualcuno propone di scavalcare, io mi oppongo (perché vedo già in prima pagina sulla gazzetta della Futa il titolone Napoletana scassina noto ristorante).
A un tratto escono delle persone dalla porta vicino al ristorante, ci confermano di essere i proprietari, chiediamo anche se per caso non ci aprano anche il cancelletto giusto per mangiare un attimo seduti sotto la tettoia e non in piedi tipo cavalli e sotto la pioggia, la risposta è lapidaria: “È chiuso!”, ci restiamo tutti malissimo e rassegnati ci rannicchiamo sotto una piccola tettoia a sbocconcellare tristi il nostro panino umido.
Mastico fissando accigliata la strada o almeno il punto nella nebbia dove dovrebbe esserci la strada, come si fa a negare un po’ di ospitalità a gente che sanno benissimo sta facendo un cammino di molti km, e con quel tempo. Poi ci ripenso, ma perché diamo per scontato che debbano essere gentili con noi? È stata una nostra libera (poco sana) scelta quella di fare il cammino e metterci a marciare in quelle condizioni, perché dovrebbe diventare automaticamente un loro problema? Abbiamo dato per scontato che ovunque andassimo venissimo accolti tipo eroi di guerra, siamo persone come le altre, in un luogo come tanti, e dove di persone come noi ne passano a migliaia, non abbiano nulla di speciale, ed è questo che spesso si fraintende, solo perché si sta facendo qualcosa che consideriamo al di fuori dell’ordinario non abbiamo alcun diritto di aspettarci trattamenti di favore, perché poi? Il principio di uguaglianza spesso lo dimentichiamo o lo capovolgiamo a nostro piacimento, ed è per questo che resta una bellissima utopia.
Il percorso intanto è solo a metà, e continuerà ancora parecchio sotto un cielo capriccioso. Sul finire della discesa (sono 1100mt di dislivello negativo) siamo tutti stremati e procediamo silenziosi con passi diversi.
Cercando di capire sulla mappa a che punto siamo scopro che a 35min a piedi c’è la tenuta toscana di Sting, la tentazione è forte, ma mi rendo conto che sono la brutta copia der monnezza: indosso un sacco di plastica con la gobba dello zaino, sono sporca di fango fino alle ginocchia, ho le occhiaie fino ai piedi e i capelli bagnati e arruffati; diciamo che il mio incontro tantrico con Sting lo immaginavo un filino più romantico.
Arriviamo finalmente ad un paesino, il primo dopo 28km (forse ce n’erano altri ma era impossibile vederli). Ci sediamo all’unico bar e io annuncio che cercherò un taxi per gli ultimi 4km perché sono sfinita, fisicamente e psicologicamente. Mi esortano a continuare perché manca poco e non ha senso mollare proprio adesso. A differenza della prima tappa ora per me avrebbe davvero senso mollare invece, sono riuscita a dimostrarmi cosa posso fare. Fino a cinque mesi prima il dolore alla schiena e la fascite mi impedivano di camminare. Ho passato dei mesi di vero inferno, dove spesso tornavo a casa con le lacrime di dolore dopo pochi passi. Il percorso di terapie, medicine, cure e solette ortopediche è stato lungo, doloroso e costoso, ma ha dato i suoi frutti quindi oggi per me va bene così.
Ho imparato quando fermarmi, e soprattutto a saper chiedere aiuto senza vergognarmi: la mia tappa è questa!