Furto 36 – Cimitero
Ho sempre avuto un rapporto strano, a tratti conflittuale, con il mondo dei morti. Forse perché, essendo una delle poche cose di cui si sa poco, una cosa impossibile da gestire, sfugge al mio patologico controllo, finendo per scompensarmi.
Sarà che ho sempre avuto un rapporto strano con il mondo dei morti, ma la verità è che mi affascina, molto, e mi emoziona, di più.
Mi succede di viaggiare in paesi nuovi e ritrovarmi a visitarne i cimiteri, camminando in religioso silenzio fra volti sconosciuti, storie che provo a immaginare e disegnare nei miei occhi.
Mi è capitato di sorridere, imbarazzato, improvvisamente scoperto dai parenti di uno dei volti che mi aggancia e mi chiede di fermarmi a guardarlo immobile in quella foto sulla lapide.
Sorrido, occhi bassi, saluto, vado via.
Ho visto su marmi gelidi, uomini impettiti e seri, donne dal viso morbido, anziani dal sorriso dolcissimo, e ancora bambini accerchiati da pupazzi, fiori coloratissimi, messaggi di chissà chi dall’aldiquà.
I morti parlano, i morti vivono.
Anche nel piccolo cimitero del mio paese, in Sicilia, le storie sono infinite, e alcune le ricordo bene, riconoscendo ogni volta volti che avevo lasciato per strada e che adesso vivono in un fermo immagine.
Nonna Rosina si trova all’ingresso, ed è la prima che accarezzo e a cui porto i miei fiori di carta. Pulisco la foto dalla polvere, pensando che andrebbe cambiata, riempio due secchi d’acqua per lavare il tempo che passa da quel lontano duemilatré.
Da lì parte la via che ormai è diventata la mia, la mia via mi porta da quei volti a cui sono legato, non da vincoli di sangue, neanche nonna aveva il mio stesso sangue, ma da ricordi che mi hanno lasciato una cicatrice. La via, a un certo punto, finisce e mi lascia libero di perdermi nell’ascoltare le altre voci di chi ci ha lasciati.
Suor Marianna si trova alle spalle della mia nonna, di fronte a una mamma che aveva ancora il diritto di viversi. La rivedo nella sagrestia della chiesa a darmi di nascosto le ostie della messa, sorridendo sotto il velo, chiudendo gli occhi, sussurrando qualcosa di incomprensibile. Maria Teresa sta invece più giù, nella parte nuova. È a lei che dedicai parole lontane in una scrittura Chiara di Luce. Una margherita, sempre la stessa. Anche lei riposa vicina a una mamma che accanto casa mi parlava dal balcone.
È qui che prendo un respiro profondo, e inizio a perdermi, con la vergogna di invadere spazi che non mi appartengono, storie che non conosco.
Passo davanti a Linda, che veniva da mamma e di nascosto fumava un paio di sigarette. Più avanti c’è il signor Carmelo, che parcheggiava l’auto sempre dallo stesso lato della piazza, e camminava fino al bar da Venerina. C’è Maria, in una foto che la mostra giovane e spensierata. E poi Anna, Pina, Mattia, Antonio.
Oggi, però, mi sono fermato davanti a loro due, sorridenti e meravigliosi. I nomi non li ricordo, non sono importanti, o forse non li ho letti. Li conoscevo entrambi, poco, di vista in realtà, e non sapevo che anche lei fosse morta.
E mi commuovo.
Mi commuovo perché questo amore, così fedele e caparbio, è tenerissimo, mi commuovo perché loro, insieme, resistono alla morte, condividono la foto in un abbraccio, lo stesso letto senza il respiro.
I morti parlano, i morti vivono.
Foto 1 e di copertina di KoolShoothers da Pexels
Foto 2 di Toon Machiels da Pexels