Lettura n 18 La vita che gioca con noi
Ho ascoltato questo autore che amo da anni a Pordenone nel 2019 e ne conservo un ricordo indelebile. Emozione pura. Non parlò soltanto dei suoi libri ma ci fece dono del suo personale approccio alla scrittura. Un po’ come portarci dietro le quinte del suo lavoro, con grande generosità. L’ultimo suo libro letto narra della vita di Vera, ispirata alla figura di Eva Panić Nahir, una donna fatta prigioniera in uno dei gulag di Tito sull’isola di Goli Otok e degli orrori di questa realtà piuttosto sconosciuta ai più.
Una storia autentica consegnata nelle mani di uno dei più grandi scrittori viventi- a mio parere- una storia che intreccia stile da reporter e stile più poetico. Si intersecano con la storia di Vera altri due destini femminili, strettamente collegati fra loro, Nina la figlia abbandonata dalla protagonista ai tempi in cui era bambina e a sua volta incapace di amare che lascia sua figlia Ghili, terza figura femminile, sola col padre Rafael, per andare in giro per il mondo. Un focus narrativo sui legami familiari, sui nodi che possono protrarsi nel tempo attraversando le generazioni e impedendone la serenità.
Il racconto di Vera si svela al lettore attraverso un’intervista/reportage dalla voce della protagonista in tempo presente, alternata alla narrazione in terza persona. Il tempo è scandito da un viaggio affrontato dalle tre protagoniste con Rafael, il marito di Nina e padre di Ghili. Quest’ultima in evidente sofferenza per un rapporto col materno mai risolto, viene incaricata di filmare il racconto di sua nonna novantenne e del viaggio a ritroso nell’oscurità del passato, tornando fisicamente proprio sull’isola della prigionia insieme agli altri familiari. Ho sempre amato molto la scrittura di Grossman e la sua peculiare capacità di entrare nel vivo dell’animo dei personaggi con pathos immenso ma non tralasciando mai lo sfondo realistico su cui questi si muovono. In questo libro ho fatto un po’ fatica ad entrare nell’atmosfera, da cui mi sono lasciata rapire quasi arrivata a metà lettura, non saprei se la motivazione è da addurre alla struttura particolare o alla difficoltà ad empatizzare subito con il personaggio femminile, cosa che invece è avvenuta in seguito, attraverso pagine davvero potenti riguardanti la prigionia e il rapporto con la figlia. Tre donne rispettivamente di 90, 65 e 40 anni che se non guardano in faccia il loro passato, con tutti veleni accumulati, non potranno né continuare a vivere né a volersi bene. È una storia questa di rabbia, di violenza e di amore, ma anche di “grazia” come ha affermato lo stesso autore in un’intervista, storia vera seppure da Grossman immaginata di nuovo e restituita a noi lettori per lasciare il segno di un amore estremo vissuto a costi altissimi.
Prendo questa frase che Rafael dice a Nina, il suo amore, dopo averla ritrovata e dopo il male sofferto per il suo abbandono
«Una volta, quando ti cercavo per tutto Israele ho fatto un voto» disse Rafi sospirando. «Va bene, te lo dico. Ho giurato che avrei mandato giù tutti i tuoi veleni, finché tu non ti fossi disintossicata, e allora, così pensavo, avremmo potuto cominciare davvero a vivere».
La trama sembra complicata lo so, eppure non lo è. Una bella lettura che tocca punti dolenti delle relazioni familiari e ha a che fare con l’intimo senso del perdono verso ciò che sentiamo ci sia stato negato vivere. Un autore che ammiro moltissimo, e ho amato in opere precedenti lette con trasporto.