Giugno col bene che ti voglio (feat. Parigi-Roubaix)
A meno di strani e al momento imperscrutabili motivi, credo che il mese preferito di ogni bambino sia giugno. Sono persuaso si possa estendere la validità dell’enunciato almeno fino ai sedici anni. In verità è plausibile che sia così anche per i diciassettenni e diciottenni, ma a precisa domanda è probabile risponderebbero con un biascicato “Cazzo vuoi?”, quindi tanto vale evitare. Ora, spiegare i motivi per cui giugno sia da sempre tanto in auge tra pargoli e imberbi equivale a raccomandare agli anziani di non uscire sotto la canicola agostana e di sostituire il vino con l’acqua. La notizia piuttosto che è un’altra: durante quell’infanzia arcigna e accidiosa di cui mi sono reso protagonista negli anni novanta del secolo scorso decisi, una volta tanto, di barrare la stessa casella opzionata dai miei coetanei e scelsi giugno come mese preferito dell’anno. Spoiler: ad ogni modo le prossime righe andranno a smentire le tesi del partito che propenderebbe per una normalizzazione della mia infanzia. L’assenza nei prossimi paragrafi di parole come “amici”, “pallone”, “fidanzatina” e altre comunissime banalità, avranno invece l’effetto di riportare il sottoscritto nel novero dei minori strampalati, spaesati e in definitiva un po’ borderline che dai tempi di Foscolo in poi calcano il suolo della penisola italica. Ma anche chi se ne frega, certo.
Una cosa di cui mi rammarico è che nessuno psicologo, selezionatore di personale, faccendiere, freudiano da bancone mi abbia mai chiesto di visualizzare con un’immagine il mese di giugno. Perché non avrei avuto dubbio alcuno: la Parigi- Roubaix.
La Parigi-Roubaix si corre in aprile. Seduti, tutti a posto da bravi. Lo so benissimo quando si corre. Ho detto che ero fatto alla mia maniera, non che ero idiota. Un minimo di amor proprio.
Riformulo: giugno è un giornaletto sulla storia della Parigi-Roubaix che trovai dentro i cornflakes.
Perché l’azienda (?) di cornflakes aveva messo un giornaletto con la storia della Parigi-Roubaix dentro un cartone di fiocchi d’avena? Perché ricorreva il centenario della corsa.
Perché in giugno se la corsa è in aprile? Ecco, questo non lo so. Però può essere che la scatola fosse in dispensa da aprile. Niente di più facile.
In giugno mi alzavo pressoché all’ora che mi pareva. Mi affacciavo dalla finestra della cucina. In alto il cielo, sotto di esso le vette dei monti per cui nutrivo un rispetto del tipo pastore della Beozia versus Olimpo, sotto i monti paesi abbarbicati di cui non mi riusciva dare un nome preciso, sotto i paesi la distesa alberata del letto del fiume, sotto casa, mia nonna che paciugava nell’orto. Niente compiti, niente compagni clonati e clonabili, niente da dimostrare a nessuno. Poi sedevo a tavola, versavo i cornflakes nella tazza con il mio segno zodiacale, aggiungevo il latte, quindi mi rialzavo e andavo a prendere il giornaletto che stava sopra la stufa (spenta). Primo italiano a vincere Rossi nel 1937. Crunch crunch. Maggior numero di vittorie De Vlaeminck, quattro. Crunch crunch. Quanti cazzo di belgi. Non gli fa male il culo sul pavé a questi?
Finita la colazione me ne stavo ancora lì a rovistare tra campioni fiamminghi, fango e sparute imprese italiane. Il gomito sul tavolo, il viso sul pugno, quella necessità di pulire la bocca con il dentifricio che comunque poteva aspettare. Tutto poteva aspettare. In generale, a giugno, se ancora non ti cresce la barba o tutt’al più vien su a chiazze disordinate, non c’è nulla per cui affrettarsi.
Questo mi manca dell’infanzia. E del giugno della mia infanzia. E poi mi mancano le promesse, che col tempo si finisce per avere meno coraggio e più da perdere. Giugno era un ottimo mese per le promesse. Nell’anno del giornaletto trovato tra i fiocchi di avena ne feci due: che avrei percorso tutto il crinale dell’Olimpo dinanzi la finestra della cucina; che sarei andato a vedere la Parigi-Roubaix.
Una l’ho fatta.
L’altra mi manca.
Forse, come in un eterno giugno, sulle strade acciottolate di Francia mi possono aspettare.