Italiani, allenatori nel pallone
Italiani popolo di santi, poeti, navigatori… e virologi, esperti di geopolitica, avvocati e, per ultimo, di allenatori. Ebbene sì, dopo l’esclusione scottante dell’Italia dal secondo mondiale consecutivo, terza volta nella storia degli azzurri, è scoppiata una polemica che non tende a placarsi.
Il calcio è lo specchio di quello che oramai è diventata la nostra nazione. Quando ci troviamo di fronte al fallimento si urla alla rivoluzione. “I giovani, largo ai giovani“, poi dopo qualche giorno nascondiamo la polvere sotto al tappeto. Ma fino a quando? Prima o poi essa straborderà fuori e si dovrà fare i conti con la triste realtà, ovvero che in Italia non c’è spazio per i giovani. Consideriamo giovani, ragazzi che hanno 25 anni mentre altrove a questa età si è già uomini.
Il marcio viene dai settori giovanili dove, piuttosto che valorizzare il ragazzino talentuoso, si preferisce quello accompagnato dal migliore agente o dal padre che porta lo sponsor che giova alla società.
I risultati negli ultimi anni sono desolanti e a parte il fumo buttato negli occhi dall’Europeo vinto nel luglio scorso, siamo alla seconda assenza di fila al mondiale. La Figc ha tentato immediatamente dopo l’eliminazione del 2017 di sopperire progettando la creazione dei Centri Federali Territoriali sulla falsariga di quanto fatto molti anni prima dalle altre nazioni. Questi C.F.T. sono poli di eccellenza per la formazione tecnico-tattica dei giovani calciatori e calciatrici, nonché dei tecnici per avere un monitoraggio continuo su tutto il territorio italiano.
Dopo la disfatta di giovedì scorso a Palermo contro la Macedonia, come classico dell’italiano medio che purtroppo comprende anche personaggi di spicco del giornalismo ma anche di altri ambiti, si è subito puntato il dito contro i Centri Federali, rei di non aver portato i frutti sperati.
Ora, staccandosi un attimo da quella che può essere la mera critica e cercando di fare un’analisi oggettiva, si potrebbe dire che è praticamente impossibile colmare una lacuna che si è ingigantita in anni in cui non si è fatto praticamente nulla.
I progetti, le idee, devono avere il tempo di nascere e soprattutto crescere anche mettendo in conto che soprattutto all’inizio le cose non andranno per come si spera. Eppure, oltre a qualche grande allenatore da tastiera o, come si suol dire, “da bar”, si mettono a protestare contro gli investimenti che fa la Federazione sui Centri federali anche alcune società professionistiche. Perché? Facile!
Si spera che le somme siano convogliate nelle proprie casse tralasciando il 75% del mondo calcistico che comprende i dilettanti, ovvero tutte quelle società che con grandi sacrifici tirano su col lavoro costante tanti e tanti giovani italiani.
E se invece tramite il controllo costante dei tecnici federali fosse potenziato il monitoraggio sul mondo sommerso che è quello dilettantistico? Se fossero migliorati gli strumenti con cui i Centri Federali Territoriali lavorano in ogni parte dell’Italia?
Se si togliessero le possibilità a pseudo agenti di sfruttare e spolpare dei ragazzi? Se si monitorassero le società che accettano sponsor per far giocare questo o quel giovane?
Come scritto finora le possibilità di un rilancio ci sono tutte. Il problema semmai è capire se chi di dovere vuole realmente attuare questa rivoluzione che vede al centro i giovani.
Chi vivrà, vedrà.