Di Vicaria e altri diari Danteschi
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La prima cosa che vedo è un pantalone di pelle. Nero. Sbuca dal sipario rosso. Ci sediamo. Lei ci guarda. Chiede di me, di noi. Ci guarda davvero. Il cuore fa sbatapum.
“Sono attratta da chi sceglie di guardare”.
Sogni che si realizzano.
Imparare.
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Il corpo lo sa. Sa se stai male, se sei innamorato, se hai bisogno di un abbraccio o di stare da solo. Il corpo lo sa. Con Davide partiamo da lui, dal corpo, ma è agli occhi che ci invita a fermarci, il corpo lo sa e farà da solo.
“Guardatevi, guardatevi davvero”.
Il corpo lo sa e la voce è la sua concubina. A sentirci non siamo abituati, o forse abbiamo un po’ paura. Serena ci sente, ci respira, Serena ci suona, cantiamo la nostra voce e anche lei lo sa.
“Quannu ió moru, purtatimmillu un ciuri”.
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Si riparte dalla schiera. Accenti del corpo e ferocia delle parole in scena, arrivare a qualcosa che non c’era ma alla fine era inevitabile. Emma rompe le righe.
“Quando reciti non devi avere paura di morire”.
Come i bambini, con il controllo in mano e la fantasia nel cuore. Ma come si fa? Come si fa a toglierci di dosso tutte le fatiche, gli anni, le delusioni, la vergogna?
“Quando sali sul palco devi avere 40 di febbre, devi avere la febbre che erutta dal corpo. Siete atleti del cuore, allenate il muscolo della fantasia”.
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È strano il lavoro del teatro. Parte fuori, per strada, fra la gente, nel modo in cui viviamo il mondo e i sentimenti.
“Dovete uscire e guardare, camminare e portare poi tutto qua dentro”.
Costruire mondi che già ci sono e farne uscire l’anima, il cuore. Il sentimento se lo pensi, lo distruggi. È un ritmo che batte, non lo puoi controllare, ti contagia, si vede.
“Come quando fai la cacca e esce lo stronzo. Non c’è prosopopea, non c’è vergogna. Tutti la facciamo allo stesso modo. Anche la regina Elisabetta… s’assetta e caca”.
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“Amo il silenzioso”.
Uno spettacolo è un intervento a cuore aperto, è vitale, altrimenti non servirebbe a niente. Parte dalle viscere, è un percorso doloroso, un travaglio.
“Io sono il vostro forcipe. Vi struppiu”.
A teatro non c’è democrazia. C’è rigore, disciplina, educazione, non ci sono modi gentili. È uno scannatoio il teatro, dove si cacciano le cose che si hanno dentro, fino ad arrivare all’inferno.
“Ci facciamo del male, è vero, ma per arrivare al bene, per capirsi”.
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“Questi giorni insieme spero vi aiutino a ritrovare uno sguardo perduto”.
Emma, Davide e Serena hanno creato armonia in questo strano insieme di ventuno esseri umani, armonia e unicità, vestendo ciascuno di noi con abiti vivi, inevitabili, giusti per noi.
“Vi apru a tavula ru piettu”.
Sudore e lacrime, muscoli e risate, viscere.
È il giorno dopo l’ultimo giorno. È servita una corsa in taxi, seguita da un viaggio in treno e da una lunga dormita per distendere vene e mente. Non so ciò che sarà, ma so, assolutamente so, che quando incontri il Teatro non ne esci più, ti fotte la vita, e te la cambia per sempre.