Lasciare lì le cose (feat. Pianta resiliente; special guest: Po)
Ho una pianta in casa. Una e mezzo a dire la verità. Una è una pianta vera che ho comprato in un vivaio un giorno di dicembre che mi sentivo un po’ giù. C’era una musica natalizia in sottofondo, sacchi di letame un po’ ovunque e nessun altro cliente. Ero entrato per comprare tre pastorelli, sono uscito con una pianta, tre pecorelle, due pastorelli e un pescatore. La pianta che fa da mezzo l’ho presa al supermercato. Costava un euro e novantanove, stava in una scatola di polistirolo e mi faceva un po’ pena. Credo di essermi sentito un po’ giù pure quel giorno. Ad ogni modo, la pianta del vivaio un mesetto fa l’ho data per morta. Era rinsecchita, spoglia e più triste di me il giorno in cui la comprai. Mi sono detto: la butto. Però ho detto anche questo: sì, ma dove? E poi mi dispiaceva. Così l’ho lasciata lì dov’era. Ieri prima di partire ho controllato come stesse.
Questa cosa di lasciare lì le cose ce l’ho sempre avuta. Lo faccio anche con le persone. Con alcune ne è forse valsa la pena, con altre anche no. Ma tant’è. Anche il mare e i fiumi lasciano lì un sacco di cose. Quando poi si combinano in quelle strane conformazioni che si chiamano delta ed estuari vi assicuro che lasciano in giro di tutto. Qualche ora fa ero in quel lembo di terra dove il Po diventa mare e in generale la terra diventa acqua senza che tu ci riesca a capire più di tanto. Tutte le vie lentamente convergono in una sola strada che quindi si stringe sempre di più fino a diventare una carraia stretta e priva di asfalto. L’acqua è a destra, ma poi eccola anche a sinistra, ora un po’ meno a destra e tanto più a sinistra. La strada, che quando le cose buttano male è sempre la prima a togliere le tende, a un certo punto termina del tutto. Le strade sono sopravvalutate. I romani credevano di dominare il mondo perché avevano strade che nessuno mai aveva avuto. Poi arrivarono i barbari che dissero che se ne poteva fare a meno di quegli acciottolati e inoltre non aveva alcun senso fare A11 e poi A1 per andare da Verona a Parma quando si poteva benissimo tagliare in mezzo ai campi. I romani sentendo quei discorsi che per loro erano, appunto, da gente ignorantissima, dissero: allora governate voi se vi credete così furbi. E quelli effettivamente governarono dimostrando che era possibile anche senza strade, sebbene dovettero constatare che tagliando per i campi non è che si abbreviasse poi di tanto.
Ad ogni modo, ho parcheggiato la macchina e me la sono fatta a piedi. Oramai ero deciso: avrei percorso l’ultimo dei seicentocinquantadue chilometri del grande fiume. Una sorta di “Cuore di tenebra” al contrario. Il sentiero si è ben presto diradato e mi sono ritrovato con le scarpe nella sabbia, mentre piccole ondicelle schiaffeggiavano il bagnasciuga alle mie spalle a intervalli scostanti. Ogni volta mi voltavo convinto ci fosse qualcuno e invece non c’era nessuno. Avevo alle spalle un’infinita linea d’acqua solcata da barche e dragatori, attraversata da ponti di cemento, legno e acciaio, affiancata da argini, borghi e città, scandagliata da lenze e becchi d’uccello, abitata da carpe, siluri, alberi divelti e cianfrusaglie di ogni risma.
Ora, io non voglio credere esista gente che non si emozioni nel vedere il fine corsa di un grande fiume. Così come spero non esista gente che non si commuova d’innanzi al commiato di Orazio nei confronti della civiltà greca oramai ridotta a provincia romana (Graecia capta ferum victorem cepit; La Grecia, conquistata, conquistò il selvaggio vincitore). I romani non buttarono via la cultura dei greci. La lasciarono lì fino a farla divenire, lentamente, propria. Così fa il mare con il grande fiume: riceve, accoglie, accatasta sulla spiaggia. In definitiva: lascia lì. A qualcosa servirà. A qualcuno piacerà.
Si, ma le persone non si emozionano per queste cose. Lo so. Amen. Prima di tornare a casa ho fatto gpl. Mi è sembrato di vedere un manifesto sbiadito di Italia ’90. Suggestioni, credo. Oltre la stazione di servizio campi siccitosi in attesa della semina, alberi isolati e casolari abbandonati con vecchi trattori parcheggiati. Trentuno euro e due centesimi. Ti cerco i due centesimi, aspetta. Lascia lì, mi dice lei. Ho sorriso. Lei inizialmente no, poi sì. In fondo gli ho spillato trentuno euro che un mese fa erano venti e cinquanta, deve aver pensato. Un camion si è portato via sorrisi, pensieri, silenzi e una cinquantina di maiali.
Ho controllato la pianta. Ci sono tredici foglie verdi. Quando sono partito erano undici. Forse non sapevo in che bidone metterla. Forse è la mia propensione a lasciare tutto lì. Come fanno fiumi e mare. E però erano undici e ora sono tredici.