Mediazione Linguistica non serve a niente
Qualche tempo fa sono stata in uno di quei locali occupati da migranti dove si organizzano feste di tutti i colori e di tutte le culture, dove si ha modo di assaggiare piatti tipici non mediati dal tocco occidentalizzante di uno chef europeo o europeizzato, dove tutto è genuino anche se al palato sulle prime il diverso può dare fastidio.
Un palazzo dove quel pomeriggio si ballava la murga e si saltava in lungo e in largo, dove amici giocolieri mettevano su spettacoli che coinvolgevano i bambini senza far necessariamente uso della parola.
E li univano davvero tutti, nella magia delle bolas roteanti o nei cerchi di fuoco o nelle carte che scompaiono e ricompaiono e nei loro cappelli da maghi. Le mamme li tenevano buoni se si scalmanavano, li richiamavano all’attenzione nei confronti dei pagliacci, applaudivano ai ballerini di murga e ai musicanti. In breve, una piccola processione si forma sempre. A Ostiense, come a Laurentina, come in tutte le altre feste di locali occupati dove ho avuto modo di andare. Si creano microcosmi che è impossibile definire se non vivendoli.
Io ho preso da poco una triennale in Mediazione Linguistica ed Interculturale spinta dal sogno di unire le culture studiandole, analizzandole in profondità, acculturandomi per poter dare e ricevere nel migliore dei modi tutto ciò che si può dare e ricevere nell’incontro con l’alterità.
Poi è bastato uno di quei pomeriggi occupati, chiamiamoli così, per farmi capire che se questo era l’obiettivo io tre anni li ho buttati. Non per il mondo, certo, a cui piace la gente con un titolo, una definizione di ciò che si fa e via dicendo.
Ma per me sì, e per i soggetti con cui vorrei entrare in contatto anche. Perché per tenersi per mano e seguire una banda di murgueros non serve aver studiato, per ballare insieme nemmeno, come a nulla servono i trenta e lode per condividere un pasto che conserva il sapore di una cultura lontana.
E’ stata la delusione più bella, perché piena di speranza che in fondo la pace possa essere molto più vicina di quanto pensiamo, se cercata sul piano umano e non su sovrastrutture e muraglie, divisioni e schemi inventati a posteriori.
I clown, i giocolieri, i ballerini di murga, i cuochi servono. “Noi” studiosi possiamo divertirci a guardare le cose da fuori, ma l’integrazione sta altrove. Si studiano pagine, si vivono persone. Io dopo quei pomeriggi non mi sento più una studiosa.