Cent’ anni di Pasolini – Che fatica diventare intellettuali.
Il 5 marzo sarebbero state 100 le candeline sulla torta, se nel novembre del 1975, per cause violente ma ignote, non fosse stata posta fine alla vita di Pier Paolo Pasolini. Proprio in occasione di questa ricorrenza il TRAM ha deciso di ricordare il regista bolognese con una rassegna di tre spettacoli a lui dedicati. Il primo di questi omaggi teatrali è stato “Venere Tascabile”, con la regia di Antonio D’Avino a guidare sul palco Carmen Pommella. Ma che ci fa una donna, una venere tascabile, sul palco di Pasolini?
Il modo migliore per raccontare la vita di una persona è a ritroso, dalla sua morte. L’effetto che la notizia ha avuto sulle persone care; lo struggimento e la partecipazione al dolore; com’è ricordato chi non c’è più. Questo è esattamente ciò che accade sulla scena. Il valore e il ricordo di Pasolini ci vengono raccontati con ironia, dolore e trasporto dall’unica donna a cui lui abbia mai permesso di avvicinarlo: Laura Betti.
Pasolini è morto e gli avvoltoi si azzuffano sul suo cadavere per un po’ di notorietà
Laura, anche lei bolognese, si trasferisce a Roma per provare a brillare sotto le luci della vana gloria che negli anni ’60 accecavano e attiravano tante facce desiderose di successo. Ma non si arriva in cima alla montagna senza sporcarsi le mani, e fra una risata amara e una battuta ci racconta delle difficoltà e dei compromessi che una donna deve affrontare per farsi strada. Mentre molti si lasceranno divorare da questa vita lei resterà sempre fedele a sé stessa, girando a suo favore le carte del destino, qualunque sia il loro segno. Raccontando spudorata quest’aspetto spesso ignoto della sua vita, cammina sconclusionata per la stanza. Pasolini, il suo grande amico (e amore) è morto e Laura, ancora con in mano il giornale che riporta la notizia sulle presunte cause della morte, inizia a inveire contro i giornalisti bugiardi e venduti. Molti di loro non vedevano l’ora di poter usare il nome del regista, in qualunque modo, altri totalmente piegati alle linee editoriali e alle idee politiche dei giornali per cui scrivono, riportano o inventano notizie errate o del tutto inventate. Pasolini è morto e gli avvoltoi si azzuffano sul suo cadavere per un po’ di notorietà . Nessuno oltre Laura può permettersi di raccontarcelo: con gli occhi rossi e le idee confuse, come la confusione che solo Pasolini riusciva a farle provare.
Lo spettacolo si divide in due parti, Laura senza Pier Paolo e Laura dopo averlo perso. La prima parte è caratterizzata da un’alternanza di battute scherzose, piene del sarcasmo che ritroviamo nelle canzoni che si faceva scrivere. Con lo stesso sarcasmo la Betti critica la società che ha sempre contestato e giudicato Pasolini. Nella seconda parte l’amarezza sarcastica lascia il posto alla disperazione più forte, dovuta alla consapevolezza che alla fine quel sistema marcio e bigotto ha avuto la meglio sull’intellettuale schivo e riservato, con idee troppo veloci e grandi per le menti dalle misure borghesi. La differenza fra i due momenti è netta, così come il passaggio dalle canzonette alla poesia.
Se inizialmente può sembrare che protagonista del monologo e dello spettacolo sia la stessa Betti, basta saper leggere fra le righe per capire che in realtà il solo e vero protagonista è Pasolini: la forma della sagoma vuota che ha lasciato nella vita dell’amica viene riempita dalle parole e dai ricordi di lei. C’è del romanticismo decadente e delicato ad avvolgere la scena, mentre ci viene restituita l’immagine del regista scomparso; ci viene definito, perché non siamo altro che quello che gli altri ci restituiscono di noi.
la forma della sagoma vuota che ha lasciato nella vita dell’amica viene riempita dalle parole e dai ricordi di lei