Lettura n. 14 Quella notte al Savoy
Ero troppo piccolina per ricordare esattamente quella sera ma l’eco di quell’evento tragico si è protratto avanti nel tempo e oggi si fa ancora sentire potente.
A Sanremo, nella stanza 219 dell’Hotel Savoy, nella notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967, durante le giornate musicali del Festival, Luigi Tenco si tolse la vita. Provare a ripercorrere questo evento tragico partendo dall’istante della fine e andando a ritroso, è un po’ il filo conduttore del libro di Antonio Iovane.
Sul palco si anima uno scontro generazionale fra cantanti della vecchia guardia e nuove voci, la vera gioventù ancora non esiste, o si è bambini o si è vecchi, il sessantotto deve ancora arrivare ma si respira un’aria di cambiamento. Luigi con la sua prosa, in apparenza disadorna, sente l’urgenza dei temi sociali che vorrebbe portare al pubblico ma avverte anche nel suo intimo di essere non congruo a quel tipo di ambiente.
Luigi intuisce che tutto è già deciso, è già stato deciso tutto.
Ciao amore ciao è la sua canzone, è stata eliminata dalla kermesse canora, Luigi è deluso, si ritira nella sua stanza, ma cosa succede nelle ore seguenti? Il cantante si è esibito accanto alla diva francese Dalida, è la serata dei duetti, la stampa sembra non accorgersi di lui, Dalida lo sovrasta con la sua presenza, il suo fascino indiscusso è protagonista, la canzone sembra essere soltanto sua, Luigi sbaglia alle prove, sbaglia sul palco, la voce non va a tempo con l’orchestra. Fra i fan accalcati una ragazza gli si avvicina e chiede un autografo, lui è scontroso, burbero, tutto questo luccichio del bel mondo non gli è consono, Luigi risponde in maniera sgarbata, diremmo scostumata, pare proprio che abbia detto un vaffanculo. Tutti sono a cena al ristorante quella sera, Dalida ha il vestito elegante, ma Luigi non li raggiunge, vuole stare da solo, un uomo solo, un uomo deluso, forse depresso dicono in tanti, ma quella notte Luigi scrive un biglietto, una grafia strana, uno stile quasi sgrammatico che non sembra suo, Luigi saluta disilluso il mondo. Un colpo di pistola ed è sul pavimento ma nessuno dalle stanze accanto ha sentito quel colpo, nessun rumore echeggia nei corridoi, come mai? Le indagini della polizia sono confuse, frettolose, il corpo viene spostato troppo presto, tutto è accompagnato da gesti maldestri, sembra che dia fastidio quel corpo morto. Il vestito di Dalida è imbrattato di sangue, lei è disperata viene interrogata dalla polizia ma che ne sa? Era al ristorante con gli altri. C’è un buco di qualche ora, Luigi era da solo in quel buco, come in un tunnel solitario. Ma che è successo in quelle ore?
Di scritture con intento indagatore ce ne sono state svariate sul caso Tenco, in questo lavoro però emerge la voce profonda dell’uomo, i suoi alti e bassi, le ombre, tutto con un continuo flusso di coscienza attraverso lo stile a cascata di frasi e pensieri dell’autore, parole che si rincorrono una dietro l’altra per poi cascare nello sguardo del lettore. L’atmosfera è suggestiva e a tratti commovente. Luigi Tenco non si piega alle convenzioni e paga a caro prezzo, le sue canzoni continuano a raccontarci di un uomo solo, e talvolta ci si rispecchia un po’ in quella disperata solitudine.