Quel malato sono io!
Nel mio microscopico paese siciliano ci conosciamo tutti, ed è molto rassicurante sapere che per un pugno di sale o per un passaggio alla marina puoi andare a bussare alla vicina di casa che, armata di grembiule sporco di sugo, si mette immediatamente a tua disposizione.
Ieri al Teatro Kismet sono tornato in paese, e ho vissuto la storia di un vecchio come tanti che, in preda alla propria ipocondria, fa di tutto per essere curato, o quantomeno per trovare un medico che dia retta alle sue assurde (e umane) convinzioni. La scena è una casa piramidale, luci di un bianco e nero da pellicola neorealista con qualche lampo di colore, personaggi che sono persone che sbucano da tutte le parti, cambiano abiti e sembianze, rendendo assurdamente quotidiano un insieme che sa di recita.
Teatro nel teatro.
Insieme a lui, ad Argante, c’è Donna Checchina, moglie e matrigna ma prima di tutto economa, che catalizza l’attenzione del marito e degli amanti, su specifici e strategici particolari corporei, anch’essi di forma piramidale: il principio del nutrimento, come una mamma con il suo bambino. Contrapposta c’è la figlia Angelica, che odia la matrigna e ama in segreto il giovane Santino, ragazzo buono e sinceramente innamorato, che porta in sé un unico grande difetto: non essere un medico. Il vecchio padre infatti ha scelto per Angelica un marito utile, utile sì, ma a lui.
E poi ancora Pulcinella, fratello artista e scombussola coscienze di Argante, che di certo non le manda a dire, soprattutto a lui, tanto quanto la domestica Antonietta, che con Pulcinella condivide corpo e viso, vera regista della scena, insolente e fedele come sapevano essere certe nostre donne, un po’ zie un po’ comari, un po’ tuttofare che governavano casali, masserie o palazzotti di signori o finti signori, irriverente al limite del dissacrante, stupefacentemente comica.
Tutto avviene con una consecutio talmente naturale, e musicale, e leggera, che lo spettatore non può fare altro che sentirsi dentro questa commedia, assorbendo i malumori di una moglie che attende la morte del marito per godersi un po’ di ricchezza, la tenacia di una giovane donna che non si arrende a matrimoni di convenienza, l’intelligenza di quello che è considerato il popolino ma che in realtà decide le sorti di ciò che sarà. E un finale che, come la vita stessa ci insegna, ribalta ciò che sembra inevitabile e invece non lo è.
Teresa Ludovico riesce a disegnare un quadro straordinariamente moderno, manipolando con devoto rispetto la commedia di Molière che, di certo, porta sulle spalle molti secoli. È una storia piena di contraddizioni, come l’Italia di oggi del resto, un’Italia di convinzioni e parole, di comicità e amarezza, un’Italia vera.
Questo Malato Immaginario lascia lo spettatore libero di violare il sentimento di una famiglia come tante, e lo mette nella condizione di chiedersi se la storia del vicino , di quel malato che malato non è, in fondo è anche la sua storia.
Abbiamo visto Il malato immaginario ovvero Le Molière imaginaire
scritto e diretto da Teresa Ludovico
con Sara Bevilacqua, Michele Cipriani, Christian Di Filippo, Piergiorgio Maria Savarese, Lucia Raffaella Mariani, Augusto Masiello, Paolo Summaria
scene e luci Vincent Longuemare
musiche eseguite da Michele Di Lallo (fagotto) Cosimo Castellano (pianoforte)
costumi Luigi Spezzacatene
consulenza musicale Nicola Scardicchio, Leonardo Smaldone
al Teatro Kismet di Bari
Si ringrazia l’Ufficio Stampa