Furto 34 – Le prime volte
Non ho mai amato le prime volte.
Ho avuto sempre il timore, figlio delle aspettative, che le cose sarebbero andate diversamente da come le avevo immaginate. Perché in fondo immaginiamo ciò che sappiamo, e ciò che sappiamo è ciò che vogliamo. E spesso il volere non coincide con la realtà.
Volevo ballare da piccolo, ma l’ho scoperto da grande, quando ormai la strada era asfaltata e l’incrocio perso chissà dove. Quella non è stata una prima volta, e il ricordo non creato è rimasto piacevole, ancora intatto, non è stato sporcato.
Non ho mai amato le prime volte, e alcune le rivedo davanti a me, come fotogrammi congelati.
La prima volta che ho nascosto del cibo ero in camera dei miei. Ancora non portavo gli occhiali e me ne stavo coricato sul fianco destro a guardare la tv. Poi ogni tanto allungavo la mano sotto il letto e recuperavo quello che avevo in ombra, mettendo a fuoco senza mai riuscirci davvero. A ripensarci non so neanche perché l’ho fatto, ma ho smesso, e rimane una flebile striscia di penna cancellata.
La prima volta che ho baciato ero tutto sudato, in preda al panico. Camminavo in una Cefalù calda e piacevole. Ero insieme ma ero solo. La mia mente era come posseduta da un solo pensiero, da quel paralizzante obiettivo che avevo stabilito, a priori ovviamente, e credo anche a prescindere dal chi. Non ricordo i discorsi fatti, le parole dette, non ricordo neanche il viso della persona che mi stava accanto. Ricordo però l’odore di quel bacio, il colore delle labbra, l’emozione di sentirmi perso e allo stesso tempo ricomposto, come se i pezzi improvvisamente si fossero ritrovati e incollati. Mi piacerebbe incontrarla ancora quella persona, per chiedergli scusa, e dirgli che è stato il mio vasaio.
Ricordo la prima volta che mi son detto non ce la fai. Stavo correndo per non arrivare ultimo, perché in ballo c’erano dei regali uguali per tutti, ma non per tutti. Mi son detto non ce la fai e andò proprio a finire così. Ma in fondo lo sapevo, e a ripensarci probabilmente lo volevo, che da bambini servono motivazioni concrete per odiare qualcuno, che il platonico è roba da grandi.
Non ho mai amato le prime volte, anche se alcune mi hanno fatto bene.
La prima volta che ho scritto, per esempio.
La prima volta che ho scritto, ma scritto veramente, era di notte, quando non hai più un cazzo da perdere perché la giornata è finita, i doveri compiuti, le circostanze superate, quando la luce fuori manca e non senti l’esigenza di trovarla dentro. Era un foglio nero, quello, recuperato da un album da disegno delle scuole medie. Un foglio nero e una penna nera. Scrissi quel foglio molte volte, quella notte, regalandomi la serena libertà di non sentirmi in obbligo di rileggere, abbellire, sistemare. Un po’ come sto facendo adesso, un po’ come ho imparato a fare. La prima volta che ho scritto veramente ho ritrovato altri pezzi che credevo perduti, come quando baciai.
Te lo ricordi, amica mia?
11 settembre 2020, tu immobile a scrivere con gli occhi. Era la tua prima volta, cercando di buttarli i pezzi, non di ritrovarli, la notte prima di coprire il viso di una bellezza talmente umile da essere inevitabile. Il giorno prima del tuo giorno.
Anche tu pulivi il cuore da ruggini incrostate, cercavi di sbrogliare quel filo di precoce maturità alla quale sei stata chiamata da tutta una vita. E con gli occhi scrivevi, scrivevi e piangevi, piangevi e ti rendevi conto di quanto negli anni avevi sacrificato, avevi lasciato, di quanta paura avevi addosso di modellarti su ciò da cui fuggivi. Persa e schifosamente dignitosa, così eri quella notte. Schifosamente dignitosa. E io accanto a te straordinariamente fiero, e fortunato, essudante di un bene così viscerale che ancora oggi mi chiedo come ho fatto a meritarlo.
Non ho mai amato le prime volte, ma a volte sì.
Foto 1 di Ricardo Esquivel da Pexels
Foto 2 di cottonbro da Pexels
Foto 3 e di copertina di Dmitry Zvolskiy da Pexels