Ho sognato la cioccolata per anni di Trudi Birger
Ho sognato la cioccolata per anni è un romanzo autobiografico di Trudi Birger che racconta la sua esperienza, da bambina, nel campo di concentramento di Stutthof.
Come la protagonista del più celebre diario, Trudi era solo una bambina quando i drammatici eventi che sfociarono in quella che fu una delle pagine più nere della nostra storia ebbero inizio. Tuttavia a differenza di Anna Frank, Trudi sopravvisse e raccontò la sua esperienza solo successivamente.
Questa è la storia eccezionale di un essere umano: Trudi Birger, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti, strappata alla morte poco prima di essere spinta nel forno crematorio del campo di concentramento di Stutthof.
Nella sua vita Trudi si è salvata dalla morte dozzine di volte – grazie alla sua voglia di vivere, alla sua prontezza, alla sua fiducia nelle proprie capacità e, soprattutto, al suo amore per la madre… La storia di tutti i sopravvissuti ha inevitabilmente dell’incredibile. Quella di Trudi ha del miracoloso: è una storia di coraggio, fiducia, intraprendenza e incrollabile speranza, ma anche la storia di un grande amore tra madre e figlia. La devozione reciproca è stata ciò che le ha tenute in vita.
La forza delle testimonianze
Quando lessi questo romanzo avevo all’incirca l’età della sua protagonista, eppure a distanza di tanti anni ancora non riesco a dimenticare quando mi fece emozionare.
Vedevo questa ragazzina e l’incredibile forza che riusciva a tirare fuori nel semplice atto di sopravvivere. Lì dove la linea di confine fra chi poteva essere utile da utilizzare nei lavori e chi veniva considerato soltanto un rifiuto era incredibilmente sottile.
Trudi quella linea l’ha sfiorata più volte nel corso del suo racconto. Addirittura, si azzarda a rivarcarla, una volta, per poter riportare fra i salvati anche sua madre, scartata dal medico delle SS perché ritenuta troppo debole.
Storie come questa, storie come quelle di tutti i sopravvissuti della Shoah, lasciano sempre qualcosa dentro.
Forse perché sappiamo che sono storie vere. Esse sono in grado di mostrare fino a quanto l’orrore possa essere perpetrato dall’essere umano, ma anche quanto ci si aggrappi con le unghie e con i denti a qualunque cosa pur di non lasciarsi annegare, pur di restare vivi quando cercano di strapparti di dosso perfino l’identità. Perché nei capi di concentramento non sei altro che un numero fra milioni di altri numeri, corpi tutti uguali senza capelli, con gli occhi spenti e l’espressione vacua di chi si sente strappare perfino l’anima.
Lo sapevo. Ma non importava. Senza di lei, ero morta comunque.
«Se non possiamo vivere insieme, moriremo insieme», le dissi. Era ciò che avevo giurato a me stessa sul treno.
Se Primo Levi parlava di sommersi e salvati, si riferiva in parte proprio a questo. Sopravvivere ai campi di concentramento significa anche riuscire a rimanere sé stessi. Al riuscire a non lasciarsi svuotare completamente.
È molto probabile che la forza di Trudi sia stata nell’avere con sé sua madre. Forse nessuna delle due sarebbe sopravvissuta senza l’altra. Certo è che, comunque, il forte legame che era fra loro si è rivelata l’ancora che le ha tenute salde alla loro umanità.
Ho sognato la cioccolata per anni
La cioccolata che da il titolo all’opera si trasforma in una sorta di legame con il passato della protagonista. Quando viveva ancora nella sua casa, quando suo padre era vivo. La cioccolata ha il sapore di calore, di famiglia, ancora una volta di umanità.
Mi ricordavo con gioia quella cioccolata calda, e la sognavo notte dopo notte. La prima cosa che mi sarei concessa dopo la fine della guerra sarebbe stata una bella tazza di cioccolata calda.
È importante sottolineare questo concetto. L’umanità non è qualcosa di scontato, non in un campo di concentramento. Eppure sono le piccole cose quelle che ci tengono a galla. Come la cioccolata.
È un simbolo, qualcosa a cui aggrapparsi. La speranza che quei giorni spensierati e felici possano tornare. Che l’orrore, quel grande orrore, concepito da una mente priva di qualunque traccia di empatia, possa finalmente cessare.
Trudi è una bambina che è costretta dalle circostanze intorno a lei a diventare una donna. Eppure una parte di lei conserva quell’innocenza, un desiderio di cose semplice. E se da una parte è costretta a far da madre a sua madre, è proprio quella sua parte di bambina che riesce a salvare entrambe.
Sopravvivere e raccontare
Trudi Birger è sicuramente una sopravvissuta dell’olocausto. Una fra quelli che è riuscita a trascinarsi fuori da quegli orrori che hanno segnato quegli anni.
Possiamo dire che è stata fortunata. Ha raggiunto il suo sogno, quello di avere una famiglia numerosa una volta fuori dal campo.
Spero che la mia storia sia letta da adulti e bambini, perché nessuno al mondo possa dimenticare il destino dei sei milioni di ebrei vittime della ferocia nazista.
Io ho voluto soffermarmi sulla sua forza e sul suo coraggio. Ma non dobbiamo dimenticare che tanti altri non sono sopravvissuti e quanto male è stato perpetrato.
Queste testimonianze, queste pagine di chi ha vissuto quegli eventi sulla propria carne sono importanti e lo sono ancora oggi. Abbiamo bisogno di ricordare perché tutto questo non si ripeta mai più, in nessun angolo del mondo.
La strada verso una realtà perfetta è ancora lunga, ancora oggi c’è chi nega quegli eventi e chi li banalizza. È importante ricordare che ogni atto di violenza, ogni atto di discriminazione, ogni volta che qualcuno si sente in diritto di decidere sulle sorti di un altro individuo, che l’uno merita di vivere più di un altro, allora c’è qualcosa di sbagliato nell’intero sistema. Perché abbiamo fallito tutti come esseri umani.