Furto 37 – Tutto cambia
Dal cielo scendeva una pioggia violenta e costante, a volte scossa da improvvise raffiche di vento. Eravamo seduti sotto i portici, a pochi metri dall’acqua, il mondo pareva scisso in due, l’effetto aveva qualcosa di incomprensibilmente rassicurante. Tutto cambia davvero, pensai, ricordando quanta inquietudine mi aveva dato quel posto, dieci anni prima, nella mia vita precedente.
Tu avevi gli occhi bagnati, di lacrime e amarezza, sapevi che quella notte sarebbe finita, ed entrambi chiedevamo al destino più tempo, più forza, più noi. Ti aspettavano a casa tuo marito e tuo figlio, sotto un albero illuminato di luci e calore, e grandi palle di polistirolo che Luca e Matteo, goffamente, avevano colorato di pailette. È per loro che piangevi, amore mio, perché sapevi che prima o poi gli avresti sputato addosso il peso di avermi perso, la responsabilità di averli scelti. Piangevi come una bambina, e stringendomi le mani mi chiedevi mille volte scusa, mi dicevi mille volte basta, senza guardarmi, vergognandoti. E io ero lì, io ero lì e ti amavo così, imperfetta ed emotiva, turbata, fragile e meravigliosa, e per altre mille ragioni che mi chiedevi mentre facevamo l’amore. Com’eri bella. Sapevi di vaniglia e cardamomo, i tuoi occhi nei miei, e io dentro di te. Ero lì, amore mio, ti stringevo e ti sentivo sempre più lontana, ti baciavo e la mia saliva chiedeva di restarti addosso. Qui, sotto questi portici maledetti, con il rumore delle macchine, suono di litania e di Santi, di lamenti soffocati.
Eri riuscita a salvarmi, anche se non lo sapevi. Sei stata farmaco e cura, la mia dose vitale, eroina iniettata dritta in vena. E non so perché non ti ho più chiamata, non so perché non ho avuto il coraggio di prendere il tuo treno, il treno delle 15e15, per venire a cercarti in una città che non conosco.
Non l’ho fatto, amore mio.
Quel giorno portai un fiore bianco, una gerbera, la tua preferita. Tuo marito Luca mi guardò con i tuoi stessi occhi smarriti mentre ti seppellivano, era stato lui a chiamarmi qualche giorno prima. Quella lettera che mi diede era impregnata di te, l’ho respirata e ti ho sentita. Mi guardava, Luca, mi guardava e sapeva chi ero. Ho pianto, amore mio, dietro un albero di pesco, come mai avevo fatto. E adesso mi ritrovo qui, di nuovo qui sotto i nostri portici, con accanto lei, la nostra lei, che sa di me quello che tu non hai vissuto.
«Papà, ho freddo, sta piovendo. Possiamo andare via?».
«Sì, Bianca, andiamo a casa».
Foto 1 di Vlad Chețan da Pexels
Foto 2 di Luis Quintero da Pexels
Foto di copertina di Fabiano Rodrigues da Pexels
Racconto partecipante al contest 2022 Battute organizzato dal Teatro Kismet (incipit di Nicola Lagioia)