Quella volta che persi la memoria
Erano diverse ore che stavo seduto in questo bar di un paese di cui pure Dio si era dimenticato. Ero al verde ma non era una novità questa. Ci ero arrivato a passaggi qui. Ero dovuto scappare da Firenze di corsa. Arretrati sull’affitto di casa e poi per difendere un ragazzo mi ero messo contro dei brutti ceffi che aspettavano solamente che tornassi per tagliarmi a fette. E allora avevo deciso di scappare nottetempo e metterla in culo a quei bastardi. Avevo da parte gli ultimi soldi e qualche vestito.
Un conoscente mi lasciò a poche centinaia di chilometri a sud in un autogrill dove mi aspettava un’amica a cui chiesi ospitalità per uno o due giorni. Accettò. Lungo la strada io seguitavo a guardare fuori dal finestrino.
“Ehi Sal, perché stai scappando?”
“Stupide rogne” le dissi.
“Non tanto stupide se sei partito all’improvviso e stai andando così lontano”.
“Dovevo mille euro al padrone di casa ma non è stato questo il vero problema. Se fossi rimasto a Firenze avreste dovuto organizzarmi il funerale. Ho difeso un tale, ho pestato un mezzo delinquente e questo vorrebbe farmi la pelle. Mi fossi fatto i cazzi miei non avrei avuto problemi ma da giornalista i cazzi miei non so proprio farmeli.”
“Io rimarrò a casa ancora uno o due giorni massimo, poi per lavoro dovrò spostarmi in Abruzzo”.
“Ottimo, non l’ho ancora visitato. Mi darai uno strappo fin lì allora”.
“Come preferisci” rispose.
Non c’erano lunghe code e fortunatamente arrivammo velocemente a casa sua. Mi lasciò le chiavi e tornò in ufficio per completare la giornata di lavoro. Io entrai e aprii subito il frigo per vedere se avesse qualcosa da mangiare. Preparai un panino e dopo trovai del vino. Lo stappai e lo bevvi tutto. Mi voltai, mi sentivo osservato. Sul divano c’era una palla di pelo nera. Era un micio.
(miao, meo… Prrr, e tutti i versi che fanno sti esserucci)
“Cazzo guardi” gli dissi.
Ma cosa capiva lui. Venne tra le mie gambe e si strusciò cercando carezze.
Intanto era appena tramontato il sole e fuori “crepuscolava”. Ilenia aprì il portone di casa con alcune buste della spesa.
“Avete già fatto conoscenza voi due?”
“S’è strusciato il cazzo coi miei jeans la tua bestiola”.
Rise e si mise subito ai fornelli. Era vegetariana e mi sarei dovuto adeguare a timballi di sedano, carpacci di carote e tristezze varie ma ero un ospite e mi sarei comportato da tale. Sedetti a tavola, la guardavo darsi da fare con pentole e padelle. Aveva sempre avuto un gran culo da dieci e lode e quella gonna nera sembrava disegnata sulla sua pelle. L’avevo conosciuta mesi e mesi prima in una riunione di giornalisti. Allora facemmo sesso.
Adesso sculettava sapendo che ero dietro a guardarla.
Resistetti una decina di minuti poi le alzai quella specie di gonnella, spostai il tanga e con le dita feci qualche movimento ma era già bagnata. Allora mi slacciai la cintura e le infilai la minchia dentro. Ebbe un sussulto e andava avanti e indietro vicino al piano cottura. Quel gattaccio della malora si era preso di gelosia perché le stavo scopando la padrona e corse di nuovo tra i miei piedi.
Belzebù si chiamava e col piede lo allontanai parecchie volte finché riuscì a vincere la battaglia definitivamente. Andammo in bagno, ci demmo una mezza sistemata e poi cenammo. Tornammo a fare sesso ma stavolta in camera da letto. Di buonora fummo già pronti a partire, io lei e il gatto, chiuso nel suo trasportino. Arrivati a un certo paese sulle montagne le chiesi di fermarsi. Le spiegai che me ne sarei stato per qualche tempo lì. Provò a farmi cambiare idea ma sapeva che avevo la testa dura. Allora mi disse di prendere almeno qualche centinaia di euro per pagarmi alloggi e viaggi. Accettai e ci salutammo.
Entrai in un bar intorno alle 13 e mi sedetti per i fatti miei. La gente presente, curiosa, mi guardava ma io facevo finta di nulla. Le ore passavano ed io ero sempre più allitrato di birra. Quando fu ora di chiudere, il proprietario mi chiese gentilmente di sloggiare. Quello che successe dopo non mi è più dato saperlo. Riesco a ricordare solo che uscivo e vomitavo per la strada, poi il vuoto. Quando rinvenni mi ritrovai in una stanza piccola, angusta. Alle pareti santini, rosari, crocifissi. Non me lo immaginavo mica così il paradiso.
Urlai “Dio o chi per lui può venire qui?”
Allora sentii parlottare due persone che man mano si avvicinavano alla porta. La maniglia si abbassò ed ecco entrare due frati.
“Bentornato tra noi fratello” dissero.
“Dove sono, chi sono?”
“Fratello non sappiamo chi tu sia, non portavi documenti con te. Ti abbiamo trovato su una piccola strada che porta al nostro convento e ti abbiamo accolto nella nostra cella.”
Niente, non ricordavo niente. Mi sforzavo ma non appena lo facevo la testa sembrava esplodermi. Chiesi qualcosa da mettere sotto i denti. Uno dei due uscì e tornò poco dopo con un vassoio. Un piatto con verdure, un po’ di pane e dell’acqua.
“Fratello è quello che abbiamo qui, spero sia di tuo gradimento.”
Li ringraziai e loro uscirono.
Siamo a cavallo, pensai tra me e me.
Niente tette, niente culi, niente alcol e niente frittura. Per di più chiuso in una stanza che loro chiamavano cella. Altro che paradiso, era un inferno bell’e buono.
Dopo alcune ore mi alzai e feci un giro per quella vecchia struttura. Sentivo vociare, mi avvicinai ad una porta e li vidi pregare.
Devi crederci veramente in Dio per fare tutto questo, pensavo. Mollare tutto e ritirarsi lontano da ogni cosa. Finirono e vennero a presentarsi, avvolti nei loro sai marroni.
Mi invitarono a cenare con loro e mi comunicarono che la sveglia sarebbe suonata presto il mattino successivo.
“Cosa succede domani?” chiesi.
“Fratello noi andiamo tra i poveri, gli ultimi e da chi ha bisogno. Mendichiamo per loro e doniamo quello che ci dà la gente”.
“Ok fratello” gli dissi.
A letto pensavo e ripensavo a cosa mi fosse potuto accadere, ma non riuscivo proprio a ricordare. In più non avevo proprio voglia di andare con loro a mendicare. Fosse stata un’altra occasione avrei detto di no ma questi qui mi avevano salvato ed ero loro ospite. Mi dovevo sforzare.
Forse dormivo da mezz’ora quando mi vennero a svegliare. Un trauma da aggiungere a quello di non sapere chi fossi. Partimmo a piedi su un sentiero, al freddo, con un filo di luce. Arrivati a un certo punto si divisero in gruppi e ognuno di questi avrebbe coperto una determinata zona. Ci vollero due ore per arrivare in questa cittadina. Barboni avvolti in coperte, sacchi a pelo improvvisati. Si riunirono, prima dissero una preghiera poi si sedettero sulle scale a chiedere ai passanti la pietà.
Che forza hanno questi? Umiliarsi per gli altri. Venne giù pioggia e loro lì, imperterriti.
Guardavo le vetrine dei negozi e delle attività e mi capitò di sentire una canzone che ripeteva “life is good”; mi suonava familiare qualcosa ma niente, non c’era modo di ricordare. Fu l’ora di ripartire, altre due ore di cammino. Di tutta la roba raccolta durante il giorno questi frati non tennero che pochissime cose.
“Ma scusate di tutte quelle cose che vi hanno dato che ne avete fatto?”
“Fratello per noi teniamo lo stretto necessario per riuscire a mangiare per pranzo o cena, il resto lo doniamo…”
Avevo capito che avrei fatto la fame anche quella sera.
Mi rimisi a letto e dopo qualche ora finalmente ebbi l’illuminazione. “Life is good, good… Goodson, Sal Goodson”.
Mi alzai di scatto e corsi per il lungo corridoio urlando
“Fratelli, fratelli sono Sal Goodson”
Terrorizzati uscirono tutti e spiegai finalmente cosa fosse successo. Mi tranquillizzarono e dissero che il giorno seguente giunti in città, avrei potuto raccontare tutto alla stazione dei carabinieri e vedere se ci fosse stato qualcuno che trovando i miei documenti, ne avesse fatto denuncia.
Ripartimmo all’alba e dopo aver percorso il solito tragitto, eccoci arrivati. Mi accompagnarono alla stazione militare e mi salutarono. Entrai e spiegai tutto alle autorità. Dopo un’ora circa mi dissero di accomodarmi nuovamente dentro l’ufficio. Il portafogli, con all’interno i documenti, era stato trovato dal barista quando era tornato ad aprire il bar. I carabinieri mi avrebbero anche portato dai loro colleghi per recuperare il tutto. Credo che avessero capito che tipo potessi essere.
Chiesi se potessero aspettarmi per un quarto d’ora circa. Ricordai che all’interno di una tasca nascosta dei miei jeans c’erano ancora una parte dei soldi che mi aveva lasciato Ilenia. Volevo ringraziare quei poveri frati che mi avevano salvato. Tornai a dirgli che avevo risolto tutto e che mi stavano aspettando per partire. Tirai fuori le banconote e feci per dargliele ma furono intransigenti.
“Fratello non vogliamo nulla, soprattutto soldi”.
“Come posso sdebitarmi allora?” chiesi.
“Aiuta questi tuoi fratelli, dona qualcosa a loro” mi disse uno di essi.
Entrai in un negozio e comprai alcune borse di spesa, tornai e gliele diedi.
“Dio ti sia sempre vicino, grazie ancora Sal”.
“Uno come me ha sempre bisogno dell’aiuto di Dio” dissi.
Me ne andai. Avevo capito che se io mi reputavo in difficoltà, c’è chi lo era ancor più di me.
Al mondo ci sono due tipi di persone: chi salva anime e chi deve farsi salvare.
E io facevo sicuramente parte della seconda schiera.