L’ultimo Natale
Solo la musica del nostro essere se pura e autentica
sarà capace di zittire il rumore del tempo
trasformando quel rumore nel mormorio della Storia
(J.P. Barnes)
Nel decimo anno della nube di colore carminio, nel tempo in cui lo spostamento dei poli artici aveva cambiato l’ecosistema e sterminato miliardi e miliardi di esseri umani, per i pochi sopravvissuti tutto era diventato difficile, anche il banale aveva assunto la forma dell’impossibile!
La nube rossastra aveva invaso tutte le città del mondo e Palermo ormai era sempre ricoperta di neve, ghiaccio e tormentata da pioggia rossastra.
Il 24 dicembre del 2053, Alfredo, uno dei pochi sopravvissuti allo sterminio della nube, unico abitante del grande palazzo di via Garibaldi, decise che era tempo di progettare qualcosa di nuovo, salì in soffitta e da una grande cassa prese una scatola contenente alcune antiche statuine: quelle del Presepe di famiglia. Erano anni che non festeggiava il giorno di Natale.
Alfredo Dolfuss fin dall’adolescenza era stato un tipo tranquillo. Un bambino buono, un ragazzo equilibrato. La sua vita aveva avuto degli alti e bassi, mai aveva tradito la propria vocazione verso le regole e il rispetto degli altri. Prima della nube la sua famiglia celebrava tutte le feste, rituali borghesi che la società pretendeva dal ceto di appartenenza. L’origine nobile teutonica dei nonni aveva certamente influito nel conformare la personalità di ciascun componente della famiglia al rigore e alla disciplina. Come se un giorno o l’altro dalla contea germanica dovesse arrivare qualcuno a chiedere un resoconto dettagliato circa il rispetto delle regole!
Nelle relazioni era stato sempre severissimo, il mondo circostante era una delusione, il prossimo sembrava superficiale e scialbo, spesso cattivo, ma con Nina, la donna più importante della sua vita, aveva imparato ad accogliere anche ciò che l’esistenza ha di irritante, senza più scappare dalla realtà. Poi arrivò la nube di carminio.
In quella vigilia di Natale la bufera rossastra tuonava contro i vetri delle alte finestre del palazzo, rallentato nei movimenti dal cappotto e dai guanti di lana, Alfredo dispose in ordine d’importanza i pezzi del presepe: Sacra Famiglia, angeli, re magi, pastori, artigiani, suonatori e pecorelle, tutti antichi manufatti artigianali barocchi dell’Alta Renania.
Aprì una delle ultime bottiglie di calvados e si sdraiò di fronte al presepe sorseggiando il suo liquore. “Siamo caos”, pensava. “Confusione, siamo poltiglia di ricordi, abbagliati da memorie scomposte. Questo presepe racconta di destini che si sono incontrati, racconta di tanti perché e di desideri incollati sulla pelle…”.
Nel frastuono della bufera dovuta alla nube di colore carminio, tra lampi, tuoni e tanta neve, da lontano arrivò una musica. Sì, una musica. Sì, un walzer. Sì, un concerto. Sì. Sì. Un due tre un due tre un due tre! Possibile mai?
Le campane della cattedrale d Palermo, zitte da decenni, iniziarono a suonare la stessa melodia. Ballò il walzer nel salone delle feste. Quella notte per Alfredo fu una notte di gioia.
(Inquadrate il QR se volete ballare anche voi con Alfredo, scoprendo il concerto di quella notte di Natale)
Con il titolo “il rumore del tempo”, con qualche riduzione, il racconto è presente nella silloge “‘NA POCO DI PAROLE”, un ebook, edito da Partecipalermo, elaborato attraverso le scritture di alcuni partecipanti al ”Gruppo Scrittura Partecipalermo”, che hanno condiviso una loro risonanza su una frase di Camilleri, che propone la tematica del buio e della luce, per questo nostro momento individuabile nella pandemia e nella Luce del Natale.