28 e 21, tombola!
I miei anni sono ormai abbastanza per andare un po’ a ritroso come i gamberi e pescare i numeri dei ricordi più significativi. Il periodo natalizio, i suoi giochi e la lotteria ben si prestano a dare un po’ di numeri. Procedendo in questo modo incontro due battesimi importanti. Due grandi “prime volte”.
28
Quando avevo 28 anni, piuttosto fresca di laurea e matrimonio, non ancora di ruolo nello stato ma con quasi dieci anni di variegato lavoro nel privato, mi approcciavo alla mia prima volta come insegnante di italiano per adulti, insieme a una compagna di università, Biancamaria, da me affettuosamente ribattezzata Blanche, perché era chiara chiara, eterea e silenziosa, italoungherese. Quindi anche piuttosto belloccia. Del resto anche io me la battevo, poi ero nel mio periodo rosa cogliona, quindi sfolgorante e piena di entusiasmo. Ma al direttore della scuola ben poco importava di avere di fronte due giovani laureate plurilingue, bellocce e preparate; le classi libere rimanenti erano solo due fetecchie: tutti religiosi, un gruppo di suore latinoamericane tra i trenta e i quarant’anni, e uno di novizi indiani sulla ventina. Parole italiane conosciute, circa dieci, in tutto. Desperate cases. Almeno i preti sapevano l’inglese. Il nostro compito sarebbe stato prepararli in tre mesi all’esame di ammissione all’università lateranense; in pratica come camminare sulle acque. Io e Blanche ci riuniamo in separata sede per deliberare:
“Le suore te le prendi tu, che hai già il tuo mandingo, io mi tengo gli indianini con gli occhi di velluto, che sono single!”
E scopro il lato ninfomane della mia eterea amica.
“Tu lo sai, sì, che sono sacerdoti?”
“Eeeeh ma sempre giovani maschi sono, hai visto mai…”
Decido di accontentarla, ma più che altro per godermi i probabili sviluppi della storia. A me comunque tocca la classe più rognosa; studentesse grandi e disperate e nostalgiche dei loro Paesi, che parlavano solo spagnolo, lingua per me semisconosciuta, e mi consideravano una giovane aliena da assecondare come una bambina, o una psicopatica. Sagge donne. Un giorno che la fatica e lo sconforto mi si leggono più chiaramente in viso, quando mi accascio sulla sedia della cattedra, una suora dagli immensi occhi nocciola mi si avvicina amorevole e mi prende le mani, accovacciandosi di fronte e fissandomi da sotto in su:
“Fai tanta fatica con nosotros, profesora… verdad?”
Un esperanto dolcissimo che mi scioglie il cuore e mi esce una lacrima (che ho piuttosto facile). Tento di ribattere:
“Ma no, siete brave, voi, bravissime…”
“La vida es sacrificio… io sono suora, tu sei casada, siamo donne. Vida de sacrificio”.
Lì mi stranisco un poco, come le veniva in mente a questa monaca estera di paragonare la sua vita di misfit piena di privazioni alla mia di giovane sposa innamorata e lavoratrice rampante? Suora e sposata, vite di sacrificio. Allora non capivo, non potevo capire. Allora. Ora ti mando il mio amore, sorella, ovunque sei. Muchas gracias.
21
A 21 anni ero una gaudente studentessa universitaria di lingue. Ovviamente lavoravo anche, per pagarmi le mie cose e le vacanze – studio, che i miei mi tenevano a stecchetto e io ero un tipo orgoglioso. Barista, baby sitter, cantante nelle bettole, commessa, supplente. Tutto faceva brodo per garantirmi un po’ di indipendenza. Ovviamente pensavo all’amore… il leit motiv osceno della mia dura vita. Avevo avuto storie senza nessuno strascico sentimentale, uscite simil adolescenti con giretti romantici e limonamenti loffi. Le amiche più care o si divertivano sul serio o erano “fidanzate in casa” con tanto di cenette regolari dai futuri suoceri. Orrore. Andavo in giro con la lanterna dell’eremita per trovare un cuore d’oro e raccattavo solo pezzi di latta. E poi mi innamoravo a senso unico di chi non mi si filava proprio. Insomma, in amore, ero sempre infelice; scontenta, via. L’infelicità ebbi l’onore di conoscerla poco più tardi. In una di queste fasi di innamoramento per un compagno di studi per cui, ovviamente, ero un ologramma, cominciai ad interessare al suo amico del cuore. Mi tampinava a cerchi concentrici come uno squalo, a lezione, alla mensa studenti, per la strada con le amiche. Un corteggiamento discreto, ma costante. E dagli e dagli, decisi di concedergli un’uscita serale. Avevo in mente e nel cuore il suo amico, ancora credevo al motto “volere è potere”, che in amore vale meno di zero, ed ero sicura che prima o poi sarebbe stato mio. Povera scema. Ma intanto avevo deciso di concedermi una sera col mio corteggiatore, di cui non mi fregava un granché. E facciamo questa cenetta romantica; mi porta nel ristorante di un albergo, attaccato a un cinema, ma niente film, solo cenetta, al risparmio. Rimane affascinato nel vedermi finalmente con la gonna, mi guarda con gli occhi a cuoricino, gli piaccio veramente. Mi racconta tutta la sua vita da quando entro nella sua utilitaria bianca a quando ci rimetto piede dopo cena per il riaccompagno. Ex studente di lingue anche lui, poi passato a sociologia (perché, casualmente, molto più facile), di origini siciliane come la sottoscritta, giovane giornalista free-lance, stesso mio segno zodiacale, stessi occhi belli, solo lui verdi. Ma non mi piaceva. Io ero innamorata. Del suo amico. A vuoto. E l’ologramma, per me, era lui. Decido di godermi la serata, e le altre che seguono. Ricordo che era il periodo natalizio, giriamo per negozi a cercare i regali per i suoi 750 parenti, mi invita a casa sua per fare i pacchetti e i fiocchettini. Siamo una specie di coppia, anche se già stramazzo dalla noia. Ma è gentile, ha gli occhi belli, il suo amico non mi caga. Cerco di farmelo piacere. Arrivata a casa sua scopro che ha un gatto, guadagna qualche punto. E noto una bella stampa di Schiele al posto della testiera del letto, da vero sciupafemmine, e gli chiedo come mai già vive da solo beato lui, e lui risponde
“A 28 anni non si puo’ piu’ stare con i genitori, anche se sono in affitto e mi pesa un po'”.
Giusto. “Poi come te le porti le zoccole ogni sera”, ma allora che ero ingenua non lo pensai, lo dico adesso.
“Tanto i miei abitano di fronte…”
mi dice, per rassicurarmi. Butto l’occhio su due bustone piene di vestiti per terra, in un angolo. Mi intenerisco:
“Sono per i poverelli?”
“No, sono da portare a lavare e stirare da mia madre”.
Mi ammoscio come un soufflé. Mi prepara una cenetta vegetariana che lui è tanto sensibile con gli animali, il gatto mi guarda sconsolato e ammira appassionato le mie caviglie, forse mi ha scambiata per un coscio di pollo. Sa che non reggo il vino, e mi versa due bicchieri di rosso, ha brutte intenzioni. Ma anche io. Sono fermamente decisa a liberarmi della verginità. Eccheccacchio, tra le amiche manco solo io. E lui non mi fa paura. A dire il vero non mi fa né caldo né freddo ma, almeno, a lui piaccio. Gli rivolgo un sorriso ubriaco, lo prende come un segnale e mi prende in braccio. Mi chiede :
“Siamo sicuri che hai 21 anni, sembri più piccola…”
Oh Madonna santa, che sexy. Vorrei scappare, vorrei vomitare. Ma ormai ho deciso.
“Vuoi vedere i documenti?”
“No vabbè, mi fido, amore”.
Quanto ve piace usare sta parola a sproposito. Mi butta sul letto e il gatto ci segue, pronto alla battaglia. Mi sa che è un rituale che conosce bene. Con un gesto fulmineo lo butta giù e si dedica a me. Per una volta ero felice di essere ubriaca; più mi svestiva, più si spogliava, e meno lo desideravo. But tonight’s the night.
“Tesoro, è una cosa bella…”
mi dice probabilmente dall’espressione di disgusto che intravede nella penombra.
“Come sei bella”.
“Anche tu”.
In effetti ero affascinata dal suo membro elegante, sottile e arcuato come una scimitarra, ne avevo visti altri ma il suo era particolare. Ma non lo desideravo, mannaggia a me. Pensavo all’amico strafottente, alle amiche mie zoccole nell’anima, alle buste da portare alla mamma’, al suo ego ipertrofico e melenso, al suo attaccamento malsano ai parenti. I miei pensieri di respingimento, così limpidi sulla mia faccia, finiscono con l’innervosirlo. Dopo avermi slinguazzata ovunque come un lama, e inserito la scimitarra, inizia un entra ed esci estenuante e noiosissimo che si conclude con una fontana sulla mia pancia e il suo grido:
“Oh nooooo”.
E lì ho capito, ed è ancora così, inesperienza a parte, che la prostituzione, a tutti i livelli, è un talento che proprio non mi appartiene. Per me il sesso senza amore non è nemmeno concepibile, figuriamoci se attuabile. Mannaggia a me.