L’arte della famiglia – Luisa De Filippo, l’amore dietro le quinte
Si ricomincia, per me intendo. Rientro finalmente in un teatro, con un palco vero, le quinte, i riflettori e quell’aria intrisa di interesse, curiosità, cultura, inclusività e benessere mentale. Riprendo a frequentare le sale partendo da uno dei “Teatri off” più suggestivi e coraggiosi che Napoli possa offrire, il Tram, incuneato in un luogo fantastico come la famosa Port’Alba.
Si rappresenta la storia di Luisa De Filippo, cognome altisonante a sostenere un nome meno noto. Luisa fu madre di Titina, Peppino ed Eduardo. Tre fratelli geniali con cellule pervase di teatro e scrittura. Portarono il cognome della madre i tre ragazzi, nati da una relazione di vita stabile ma non regolarizzabile. Il compagno che lei amò per sempre, fu Eduardo Scarpetta, già coniugato con la zia di Luisa, costituendo di fatto un intrico parentale e familiare che neppure le telenovela anni 80. Cosa ne sarebbe stato di Luisa oggi? Carne da macello. Ai tempi, diverso era il sentire, più silenti i commenti, più sottovoce, sussurrati. Ma Luisa, in ogni caso, forte del suo amore, li ignorò per tutta la vita, accontentandosi di essere una moglie per finta. Dopotutto amava un re della finzione teatrale.
I grandi artisti, i grandi atleti, i grandi nomi in generale, posseggono il passaporto del perdono, ricevuto in virtù della loro fama, del loro genio, del loro carisma.
I grandi artisti, i grandi atleti, i grandi nomi in generale, posseggono il passaporto del perdono, ricevuto in virtù della loro fama, del loro genio, del loro carisma. A queste persone viene perdonato di tutto, su di loro cala un velo prezioso a nasconderne le malefatte, innalzati su un altare laico talmente elevato da toccare comunque l’alto dei cieli, che li tiene ben lontani dal puzzo del quotidiano, dei peccati, dell’egoismo, seppellendo col peso della propria aura coloro che da vicino li tengono in vita. E Luisa era sempre lì, ad alimentarlo d’amore, di sostegno e di presenza, senza mai stancarsi, dimenticandosi pure di sé stessa.
Ancora una volta una donna, dalla quale tutto ha principio e continuità
A tenere banco, per tutta la performance, due attrici. E la magia indiscutibile del teatro mi ha di nuovo avvolto, coinvolto, incantato. Daniela Quaranta era lì, negli abiti anni ’20 di una giovanissima Titina. Si muoveva su tacchi alti, su e giù, con la gonna a pieghe e la camicetta di seta, molto elegante lei. E il mio incanto è sempre lo stesso. Lì c’era Daniela oppure Titina? O forse l’attore è un essere magico che riesce a tenere in sé tutti i suoi personaggi? Non saprei rispondere e credo non sia necessario in realtà conoscere la risposta. Basta godersi il momento. Intensa Daniela, emozionata di sicuro, ma Titina sul serio, fino a commuoversi sinceramente, al di là del “dovere professionale”.
Angela Bertamino è Luisa, e lo è fino in fondo. Ha un viso antico Angela eppure tanto moderno, forse universale. È stata capace di farci capire quanto Luisa fosse bella, appassionata, tenace, abbarbicata al suo sentimento ma pure di quanto fosse stanca, spenta, senza energie durante l’ultimo periodo di vita di Scarpetta. La Bertamino conferma il suo talento, conferma che il teatro e la recitazione le appartengono. Conferma una voce d’altri tempi, fatta per cantare dolori e drammi, amori e struggimenti. Non è la prima volta che la vedo su di un palcoscenico e non è la prima volta che mi fa pensare che gli attori veri, quelli di valore, devi un po’ andare a cercarteli, a scovarli. Semmai in piccole produzioni come questa. Di pregio anche la regia di Silvio Fornacetti, capace non solo di mettere in comunicazione le due bravissime attrici ma soprattutto di restituire a noi in platea l’odore di quella casa, la luce, il buio e la serena rassegnazione.
Replicano fino a domenica 14. Per chi non ha programmi, direi di approfittare ed andarci. Ne uscirete felici, con la consapevolezza di aver visto qualcosa di veramente bello.
Abbiamo visto “L’arte della famiglia – Luisa De Filippo, l’amore dietro le quinte
al Teatro Tram di Napoli
Si ringrazia l’Ufficio stampa