ViSo-Visuale Sociale: la violenza di genere nella stratificazione sociale
Il progetto di ViSo nasce da un’idea di Valeria Marchese, promosso dall’Associazione Culturale Poesie Metropolitane e in collaborazione con Facciunsalto. Lo scopo della rubrica è quello di analizzare eventi e aspetti sociali attraverso un’intervista dedicata ad autori che hanno deciso di scrivere in merito a tematiche d’attualità o dibattito. La conversazione sarà avviata a partire da un breve componimento, in prosa o versi, firmato dal poeta.
Per inviare i tuoi componimenti e avere uno spazio tuo su ViSo associati a Poesie Metropolitane e invia una mail a viso.poesiemetropolitane@gmail.com
ViSo-Visuale Sociale apre il suo secondo appuntamento con un tema purtroppo molto attuale e declinabile a molteplici sfumature sociali: quello della violenza di genere.
In merito a questo tema si è espressa Johanna Finocchiaro, dottoressa in lingue torinese di origini siciliane che si dedica alla diffusione della poesia: gestisce uno spazio radiofonico su ABC Radio e una rubrica settimanale sul periodico Torino Oggi. Nel 2020 pubblica la silloge “Clic” (L’Erudita Editore), da dove è tratto il componimento che dà il via alla nostra intervista.
Ci vediamo in videochiamata, tra mille impegni, commissioni ordinarie e ambiente casalingo, ci sentiamo l’una a casa dell’altra, soprattutto per la dolcezza rara della voce di Johanna e l’accuratezza nella scelta delle sue parole, quando parla e mi guida nel suo viaggio con “Puntini di sospensione“.
“Io so cosa è giusto”.
“Ah, sì”?
“Io so tutto”.
“Come puoi dirlo”?
“Questo è il tuo ruolo”.
“Chi l’ha stabilito”?
“Io posso farti del male”.
“Perché”?
“Io sono l’uomo, io comando”.
“Io, io, io… ci sei solo tu”?
“Troppe domande”.
“Poche risposte”.
“Zitta”.
“Parlami”!
“Mi manchi di rispetto”.
“Voglio capire; niente più”!
“Non osare”.
“Osare vivere”?
“Vieni qui”.
“Lasciami”!
“Ribelle”.
“Libera”!
“Ti ammazzo”.
…
«Per la stesura di questo testo ho immaginato di essere una mosca in un appartamento che si ritrovava ad ascoltare questa conversazione tra i due coniugi, cogliendoli nell’istante che precede di poco la violenza. L’intero dialogo è costellato da punti di sospensione, anche dopo il “ti ammazzo” ci sono i puntini di sospensione, li ho inseriti come un invito al pubblico a sostituirsi alla figura della donna, e a cambiare la condizione di tutte coloro che si ritrovano a vivere queste drammatiche situazioni.
Dopo la pubblicazione della mia prima silloge, che ho inteso come una presentazione di me al mondo, ho voluto cimentarmi in ciò che il mondo ha da offrirmi, scrivere di ciò che trovo al di fuori di me, dunque osservare fenomeni sociali e vedere in che modo questi si coniugano con la mia arte.»
«Osare vivere, è interessante notare come questo diritto -la vita-, anche da parte dei mass media, non sia presentato come tale, ma come una concessione, un “tu esisti e vivi perché io te lo concedo, ho questo potere che esercito su di te e posso privartene in qualunque momento”. Quanto pensi sia incoraggiata e diffusa questa idea da parte dei canali di comunicazione?»
«La violenza non è quasi mai narrata, ma sempre sottointesa, mettendo in luce dunque il fatto che il problema stia a monte di una mentalità patriarcale, che sfocia appunto nell’arrogarsi da parte di un individuo, di una sorta di potere divino, che ha la capacità di dare o togliere la vita agli altri, un’ideologia che trova forse sue radici anche nella forte religiosità che ha per secoli caratterizzato il nostro paese che sulla quale la cultura patriarcale faceva molto peso per giustificare sue azioni.
Mettere in luce la violenza è uno dei punti cardine della poesia: le domande della donna sono sfrontate e dirette, quasi innocenti in un primo momento, animate sembra da una curiosità nella ricerca e nella comprensione di un fenomeno che non trova basi solide»
«Quello che poi in sociologia è anche il fenomeno dei folkways: sorte di abitudini che si sostuiscono agli stateways, ovvero le leggi di stato»
«Esattamente. La donna pone delle bombe sotto tutti i pensieri dell’uomo, quello in cui ha sempre creduto, si ritrova improvvisamente ad essere costantemente messo in dubbio, fino a quando non riesce più a rispondere e trova nella violenza la sua risoluzione»
«Il victim blaming si estende ad ogni aspetto sociale, quanto pensi che questo sia diffuso e sostenuto all’interno della piccola realtà familiare?»
«Quando parliamo di victim blaming è importante tener presente che in questo caso entra di nuovo in gioco il silenzio, in una dinamica malata che coinvolge anche la famiglia della vittima e del carnefice. Questo rappresenta l’aspetto più crudo della violenza, quello che ti ricorda che il percorso fatto e l’immenso coraggio richiesto per uscire allo scoperto raccontando la propria storia, è distrutto in pochissimo tempo a causa dei tentativi di de-costruzione e invalidazione della tua tesi. I familiari, invece di essere ammortizzatori e di offrire un conforto ed un supporto, tendono a dare adito a domande inopportune, diventano anch’essi elementi dai quali la vittima deve difendersi per uscire fuori dal circolo della violenza.
Un circolo che ha luogo solo in seguito seguito ad un completo “isolamento” della donna: è depersonalizzata d’opinione dinnanzi alla sua famiglia, alle sue amicizie; bisogna dunque educare non solo i colpevoli, ma anche tutti coloro che si trovano ad essere spettatori di questi fenomeni.
Gioca un ruolo fondamentale anche la funzione del gruppo: l’uomo fa gruppo da sempre, la donna no, il gruppo femminile è da intendersi esistente quasi esclusivamente in relazione a quello maschile. Molti atteggiamenti tipici di questa mentalità trovano loro convalidazione all’interno di atteggiamenti socialmente accettati, come la limitazione della libertà e la violenza intese come mezzi per esprimere l’amore.»
«Il libero esercizio che la donna fa della propria sessualità la rende spesso vittima di aggressioni e di tentativi di “giustificazione” delle esagerate reazioni maschili»
«Assolutamente. La libertà sessuale è il mio essere libera come donna, vivere appunto il mio sesso biologico e ciò che ne comporta; delle voglie femminili si parla ancora molto poco, perché nell’immaginario comune la donna è sempre vergine, immacolata.
L’estrema sessualizzazione del corpo femminile passa anche attraverso la critica dei costumi adoperata da alcuni benpensanti, la rivoluzione parte anche dal nostro abbigliamento, inteso come libera espressione di noi stessi nel cerchio del buon senso: l’estrema libertà di costume, in realtà, è anch’essa una galera.»
«Credi che il fenomeno della violenza sulle donne sia da relegarsi a determinati ceti sociali piuttosto che altri?»
«Affatto, sarebbe come dire che c’è più ossigeno da una parte del pianeta piuttosto che dall’altra, quando il problema in realtà è nell’aria. Ci sono sicuramente delle società dove il maschilismo è parte integrante non solo della mentalità popolare, ma anche delle leggi di stato, come le società mediorientali ad esempio, ma non trovo che il fenomeno sia da relegarsi a determinate culture o ceti sociali. Ciò che cambia è il modo in cui si manifesta, può essere più sfacciata, diretta, fisica, oppure maturare in maniera subdola, nascosta, psicologica.
Cambia la sua forma, ma è semplicemente come una pianta che presenta foglie dal taglio diverso, ma con la stessa radice.»