Punto e Virgola – L’alfabeto e la cura
“L’alfabeto e la cura” è un racconto di Mary Grey
L’alfabeto mi rallegra la vita.
Giocarci, farci poesia me la salva.
Ritrovo l’incanto.
Il mio nonno Ettore è stato il primo compagno di giochi, componeva le parole con l’alfabetiere per insegnarmi a leggere, e io non lo lasciavo finire, tiravo ad indovinare.
La nonna Marta, a favole, mi rimboccava la vita ogni sera. E le brutte parole, guai, mi avrebbe lavato la bocca col sapone. Dai nonni sono cresciuta in una sorta di giardino incantato, dove il brutto e il cattivo non vincevano mai.
Mettermi in gioco scrivendo, attiva la mia parte istintiva che sa racimolare tutte le forze, la creatività, le promesse, la buona malizia che mi difende. Quando ho la testa vuota e le emozioni sono sotto tono, cerco una parola che mi intrighi, incuriosisca, nel vocabolario, e a volte ne esce una riflessione, una spinta.
Mettere in fila i ricordi mi rimette insieme quando sono a brandelli.
A come angelo, quello che la nonna mi diceva di salutare la sera e che sento ancora vicino, anche se un po’ più vecchio e distratto quasi quasi come me.
B come bacio, il primo, tanto tramestio nel cuore e un tantino di schifo, incrocio di lingue e salive inesperte E non sapevo cosa fare, tanto che ai successivi tentativi, ad un centimetro dalla sua bocca tiravo indietro.
C come cacca, quella che mia sorella più piccola si è mangiata, perché io, la bambinaia, mi ero persa in un libro, mi pare Piccole donne crescono o forse Senza famiglia.
D come diario, che all’inizio infioravo di buoni propositi e scambiavo con la mia compagna di banco.
E Elba, l’isola del mio viaggio di nozze, senza un soldo e già con un bimbo in pancia.
F come figli, * e *,venuti a sorpresa e pieni di sorprese.
G Girasole, il nome del nostro camper allestito da Berto in un furgone tutto giallo per girare in vacanza. Partire con la sensazione di poter fare a meno di tornare, avevo tutto con me, amore, famiglia, casa e il mondo da vedere.
H Holland, il viaggio in treno con Marianne, la mia amica olandese incinta del suo primo figlio, io con i miei due di tre e quasi due anni, che saltavano sui sedili come capretti, il più piccolo che urlava eccitato «treno!» infatti lo scompartimento è subito diventato riservato.
I Imperia, e precisamente a Diano Gorleri ho conosciuto Giorgio Amoretti, che ha detto delle mie poesie:
«Sono come le ciliegie, una tira l’altra»; ha inventato la Bottega delle parole, Il «casalingo padre», un albero per ogni nato… voleva un mondo migliore, gli piacevano le sfide e le imprese. Gli ho tenuto la mia mano calda sul «male» per ore, era convinto che la mia energia gli faceva bene, ma è morto lo stesso ed eravamo in pochi a piangere un gran sognatore.
L come lavoro nel negozio: tappeti, stoffe, tanto colore, tante chiacchiere e clienti e amici.
M come mamma che mi ha tagliato le trecce, perché non aveva il tempo di farmele quando è nata mia sorella.
N come nonna quella delle storie, dei lavori a maglia, del giardino, per la quale non ho ancora scritto una
bella poesia forse perché ci devono stare dentro troppe cose e nonno morto un giorno di Pasqua con me vicino.
P come pietra quella caduta sulla mia mano sinistra sul monte Civetta, ferrata degli Alleghesi. Mi ha tranciato il mignolo, che mi sono inutilmente portata a valle, dopo aver raggiunto per forza la cima.
Q come quadri, quelli di Berto, che non dipinge più, ma fa tanta arte applicata. Mi deve ancora il mio
ritratto, una promessa che gli ricorderò.
R Rocca Pisana a Lonigo, lì una volta all’ anno divento principessa e ballerina, mi esibisco con il Corpo
di Ballo delle mie amiche, una festa dove curiamo i commensali e gli propiniamo lo spettacolo dopo il dolce e il vino.
S come sogno, quello della Torre dove Alice perde le sue palline dai merli della cima e alla fine perde anche
me che precipito per rincorrerle ed ho il tempo di pensare: «sarà così forte l’impatto con la
morte da non far male». E per fortuna mi sveglio.
T come trotto, sono uscita in passeggiata a cavallo senza averci nessuna confidenza, ma per fortuna il cavallo sapeva dove andare e mi ha «preso in carico» nonostante la mia presunzione.
U come uccelli, uccellacci, uccellini, che cantano a turno ad ogni ora e quando li ascolto realizzo che c’è tempo per ogni cosa.
V come veglie, quella di Natale, dell’anno nuovo, e soprattutto quella ad un capezzale.
Z come zoccolo, quello che ho tirato a Berto, che per fortuna ha chiuso la porta, così ho sfondato solo quella e ci amiamo ancora.
In questo alfabeto di ricordi a lieto fine, la O è latitante.
È una lettera tonda, senza spigoli e a sforzarmi orizzonte è la parola bella che le vorrei associare, ma ancora «ospedale» è il ricordo a cui la lego. Sordo, dentro ritrovo il dolore di giorni e notti accanto alla mia creatura incosciente, 27 chili di disperazione, tubi dappertutto, gli occhi aperti ma vuoti. La pena negli occhi degli altri, la rabbia, la paura.
Giorni con la luce artificiale, senza alba, senza mezzogiorno, senza tramonto, senza quotidiano. O di odori malati, O come orrore da tacitare.
Ostentare calma, omettere realtà anche a me stessa, osare ribellione ai «come va?», e «qua qua qua», mi verrebbe da dire, e invece, metti di avere una figlia malata di anoressia, per te e per lei cerchi solo la bellezza, anche nel dolore e di scappare allontani l’Occasione.
E poi lei che se la cava, che chiama, che riconosce, farfuglia e poi parla, e l’orrore se ne va e comincia a ricordare, a ridere, a chiedere, e insieme scriviamo poesie, una per ogni lettera dell’alfabeto, un A B C per ricominciare.
A come ALICE l’ Associazione, la Favola, la Figlia, le Figlie, le ALICI Coraggiose
B come Bellezza in ogni cosa
C come Cura Coraggio Cuore…