Va bene Bruno!
Avete visto il film d’animazione Luca, della Disney Pixar? Se non l’avete fatto, fatelo, altrimenti non potrete capire fino in fondo la citazione, io perderei troppo tempo a spiegarvi alcune cose e poi Luca, Lo Vercio, non quello della Pixar, inizierebbe il solito pippone di critiche sul mio essere prolissa e sul non andare dritta al sodo.
In ogni caso una cosetta etta etta ve la spiego: in questo film Bruno è il nome che i due amici, protagonisti della storia, danno alla propria coscienza. Forse neanche a tutta la coscienza, ma in particolare a quella vocina che in ognuno di noi, anche nei soggetti più spavaldi, sussurra ogni genere di pensiero per far sì che non prendiamo decisioni affrettate. E di conseguenza Silenzio, Bruno!, è la frase che i due ragazzi ripetono come un piccolo mantra per mettere a tacere quella vocina prima di combinarne delle belle.
Il caso ha voluto (per quelli tra voi che credono ancora al caso) che io abbia guardato questo film con i miei figli lo scorso agosto e che giusto qualche giorno dopo sia andata con loro, con un’amica e con i suoi due figli al Parco Avventura Adrenalina Verde, a Serra San Bruno. Neanche il tempo di arrivare, ovviamente in ritardo, farci bardare e farci spiegare ciò che c’era da sapere per fare i percorsi sugli alberi in tutta sicurezza, regole anti-Covid comprese, che già sento i bambini urlare ridendo
Silenzio, Bruno! Silenzio, Bruno!
Penso, Che teneri! Hanno paura e fanno come nel film per scacciare ogni timore! E invece no: Bruno era la nostra guida di quel giorno e i bambini si divertivano a dirgli questa frase ricordando, appunto, il film. Il povero Bruno aveva scelto di far fare prima il percorso ai bambini e dopo a me e a Rossella, la mia amica: quindi voleva togliersi il pensiero dei bambini, chiaramente più problematici, per poi dedicarsi alle due adulte, ignorando che una delle adulte ero io, che soffro di vertigini anche se salgo in piedi su una sedia.
Guarda, io ti avviso, forse è meglio che non lo faccia. Mi conosco e so già che urlerò, piangerò, dirò tantissime parolacce.
Bruno ha la calma negli occhi. Ne avrà viste tante di persone come me e non si lascia impressionare dalle mie premesse.
Non preoccuparti perché ci sono io; quello che non riesci a fare sola lo possiamo fare assieme.
Rossella mi guarda titubante: lei vorrebbe farli tutti ma ha quella forma di rispetto tipica delle amiche, alla Titanic: Salti tu, salto io. So che non inizierà a fare i percorsi se neanche ci provo, e poi i bambini mi guardano: che esempio gli do se dimostro di non saper affrontare le mie paure? Quindi iniziamo. Partono alcune parolacce e le risate dei bambini echeggiano nel bosco: si divertono sempre quando io faccio qualcosa che dico loro di non fare, perché sanno che in fondo potranno trasgredire anche loro.
Sono su, e già penso a chi cazzo me l’ha fatta fare: mannaggia a me e alla mia fissazione nel voler sempre provare a superare i miei limiti!
Rossella ha quasi finito. Io tra una parolaccia, un urlo, l’agilità di una mucca che cammina su un ponte tibetano e le movenze di una scimmia ubriaca che si appende su delle reti, raggiungo Bruno sull’ultimo tratto. Gli chiedo continuamente di potermi lasciare andare e di farmi trascinare con la corda perché ho troppa paura e tutto si muove. Lui paziente mi incita ricordandomi che è sempre un passo avanti a me e non può succedere nulla. Manca poco. Veramente poco. E io sto ridendo. Ma a un tratto mi succede qualcosa dentro: le gambe diventano di pasta frolla, non le sento più; e scoppio a piangere irrigidendo le braccia. Bruno è molto stupito perché davvero mancano tre passi e poi il lancio con la carrucola e sarei a terra. Anche Rossella che non si è ancora lanciata mi guarda scioccata e fa per tornare indietro. Ci sono i bambini che mi guardano e devo continuare. Cerco di calmarmi e fra le lacrime faccio un passo dietro l’altro. Poi seguo le istruzioni di Bruno, aggancio la carrucola e con un cazzoooooooo echeggiante mi lancio. Una volta a terra Bruno mi dice
E’ strano, è successo qualcosa che ti ha spaventata sennò non si spiega. Eri praticamente arrivata.
Li seguo per gli altri percorsi, imperterrita, ma non sono più io che cammino. Allora l’altro Bruno, quello che sta nella mia coscienza, comincia a parlare:
Senti, lo sai vero che potrai scalare anche l’Everest, ma a lui non importerebbe comunque. Sei stanca e devi guidare per due ore dopo e riportare i bambini a casa. Non devi dimostrare niente a nessuno.
Ma io lo lascio parlare nella mia testa e seguo Rossella e Bruno, la guida. In fondo gli altri non sono percorsi: bisogna solo salire e poi lanciarsi con la carrucola. Li seguo, mi avvicino a ognuno dei tre start point rimasti, metto una mano e un piede sulla scala, ma non salgo. Bruno, la voce interiore, si fa gesto, e così come io poggio la mano sul tronco, lui pazientemente me la toglie, e mi sussurra:
Concediti il lusso di essere un pippa ogni tanto. Va bene così.
Bruno la guida continua a guardarmi a distanza, rispettando le mie incertezze e il mio momento. Forse ha anche un po’ fame, diciamocelo, e vuole sbrigarsi, però continua a dirmi:
Ti ricordo che se vuoi possiamo farlo assieme, passo dopo passo.
Sono all’ultimo percorso. Ho semplicemente finto di iniziare gli altri e aspettato che Rossella li terminasse.
Vorrei sollevare la testa verso la guida, che cerca di capire le mie intenzioni, e dirgli:
Sai Bruno, vorrei portarti con me e sentirti dire che ogni qualvolta c’è qualcosa che non riesco a fare, tu mi accompagnerai passo dopo passo. Lo sai perché prima sono scoppiata a piangere? Perché io lo so che ci sono percorsi nella mia vita che stanno per finire, e so che per poter andare avanti è necessario che finiscano. E so pure che sono in grado di farli finire. Ma non vorrei. Ecco perché ho pianto. E so anche che il mio corpo adesso non può affrontare tutto questo perché la mia anima sta per prepararsi a compiere percorsi molto ma molto più difficili di questi sugli alberi. E il corpo serve all’anima così come l’anima serve al corpo. Ecco perché ho pianto. Ecco perché piango sempre.
Ma non alzo subito lo sguardo. Mi asciugo rapidamente le lacrime e guardando Rossella che si lancia, dico con fermezza:
Basta così, sono stanca.
Ci avviamo tutti e tre verso il punto in cui si tolgono le imbragature. E mentre cammino ho quella debole ma ferma consolazione di piacermi così come sono. Bruno nella mia testa per una volta è tranquillo, io molto meno. Ma va bene così.
Foto di Flo Maderebner da Pexels
Foto di Jacob Colvin da Pexels