La donna dal fiore al seno
Un ago si è spinto crudo e prepotente dentro il nodulo sospetto. È entrato freddo e spietato ad indagare la stanza del nutrimento, la stanza che spesso per anni interi, i primi, i più importanti, è delizia e riparo per ogni essere umano.
E mi ha trovata lì, come una madre attenta e generosa, ad alimentare il male che mi avrebbe potuta annientare. Io lo nutrivo, lui mi uccideva. A conferma che la gratitudine non è di questo mondo.
“Annalisa, è un carcinoma” ha tuonato implacabile il verdetto.
È stato l’attimo in cui tutto si è sospeso e la morte ha mangiato gli alfieri della vita, la scacchiera si è resa deforme per inerzia, la forza centrifuga dell’incredulità mi ha spazzata immobile nel nulla che iniziai ad abbracciare. La mia difesa non ha più saputo riprendere posizione.
la morte ha mangiato tutti gli alfieri della vita
L’unica cosa che in quel silenzio pneumatico ho consciamente saputo fare, è stato lo scarico di responsabilità, spostandomi dal mio vulnerabile corpo per trasmigrare nell’evanescenza e nell’intangibile che non temono bisturi e terapie, e dicendo a mio fratello, pallido come se il sole lo avesse sempre ignorato per capriccio: “Ascolta tu, io mi fermo qui”. Consegnai così a lui il fardello di raccogliere tutte le parole che io guardavo uscire sorde e lente dalla bocca della dottoressa, organizzarle in croci e viti arrugginite e inchiodarmele addosso. È qui che ha reimparato, nel breve spazio di un titanico iceberg piantato nello sterno, a tenermi in braccio, ancora, come trent’anni fa non gli era così inusuale fare.
“La donna dal fiore al seno”, perché la mia passione è parafrasare tutto, e Pirandello non è un privilegiato per rimanerne fuori indenne.
Che il calvario abbia inizio! Impantanati di un sudore acido che ci ha bruciato la ragione, ci siamo diretti al Golgota tutti. Mia mamma in testa, prima ancora di me. Perché le mamme sono così. Sono tutte madonne. Sono mangiate dal dolore e scarnificate dalla sofferenza se qualche innominabile lambisce la prole, ma sono pioniere. Io la sentivo piangere ma solo di notte, disperata, nel segreto che il buio tacitamente garantisce, ché di giorno l’unica autorizzata a farlo ero io, e gli altri tutti a darmi coraggio e a darsi il cambio accanto a me sotto il peso di un evento che veniva sadico e cinico a misurare la forza che sono sempre stata certa di avere.
Perché le mamme sono così. Sono tutte madonne
Quanto sarebbe potuto essere breve il passaggio da guerriera ad amazzone? Ho vacillato. Specie quando ad un esame più approfondito con un qualche veleno che evidenziava ogni dettaglio particolareggiato di una vera mina esplosiva che per convenzione chiamiamo seno, mi fu detto “Confermato, c’è una neoplasia che leveremo entro un mese. Al seno destro… Ma al sinistro ci sono focolai la cui natura va approfondita”. E via di nuovo: tra l’affanno per il ritmo surreale con cui il terrore teneva il tempo e l’incapacità di credere che quella sulla zattera alla deriva fossi io, la salita del calvario sembrava moltiplicare la percentuale della sua ripida pendenza e io stavo scalando tutto senza imbracatura. Un solo passo falso e precipitare a valle sarebbe stato un tutt’uno con l’irrisolvibile rifiuto a continuare a far entrare medici e strumenti in posti in cui una donna ha spazio solo per figli e amanti.
Quanto sarebbe potuto essere breve il passaggio da guerriera ad amazzone?
Un seno, il mio, quasi inesistente; mai avrei creduto che in quell’inesistenza potessero vivermi in agguato schegge impazzite di peccati mortali da espiare tutti adesso, in vita, e senza promesse di paradiso.
Ma per fortuna no, non era così: si vedevano cose che c’erano davvero ma non erano pericolose, cose di donna, cose non ben identificate che dovevano essere lì perché lì è il loro insediamento. Piansi di gioia. A lungo. Sulle gambe di mio fratello. Nelle braccia di mia cognata che non mi ha lasciata un attimo. Alla fine avevo un solo tumore maligno!
È stato il mese e mezzo più devastante che io potessi concepire. La paura durante l’attesa della diagnosi è stata invalidante e annichilente almeno quanto la diagnosi.
La paura produce la stessa immobilità del problema, che il problema ci sia o no.
Io ho avuto sia l’una che l’altro.
La paura è feroce, è l’inibizione dell’azione e di ogni atteggiamento positivo e propositivo.
Mollate l’inutile, puntate in alto
Preparo la valigia dell’attore e parto. Anche se in realtà non era dell’attore, per questo è stata molto più dura da preparare, priva di senso e piena più di dubbi che di magliette.
Il 13 agosto io, mio fratello, mia cognata e mia sorella, che come ogni sorella maggiore ti ripropone la protezione materna rivisitata alla luce di intendimenti più complici, partiamo.
Il 14 agosto il ricovero, con prima una lunga sospensione per un tampone molecolare da rifare a causa di un esito indeterminato che incancrenisce la stremante attesa.
Poi l’anestesia che mi consegna ad un salvifico e desiderato oblio.
Le mani sapienti e sicure della mia combattiva ancorché adorabile dottoressa, dichiarano guerra al nostro nemico, ché è sì un mio problema ma certamente una sua questione. Armata fino ai denti mi entra dentro al petto. Estirpa il fiore. Si asciuga il sudore. Svuota i polmoni. Mi rifà l’orlo e, con dolcezza, mi restituisce alla vita.
È andata così.
E ora che il peggio è passato, ora e per sempre, mi focalizzerò sull’essenziale, alzerò la posta in gioco.
Fatelo anche voi, senza doverci per forza passare dall’inferno. Converrà a tutti. Mollate l’inutile, puntate in alto.
E fate prevenzione. Sempre.
Questa è una storia vera, la mia. E ne faccio testimonianza perché sempre più si stia accorti ad ogni segnale anomalo.
La vita altro non è che il compromesso tra se stessi e il coraggio di viverla.
La restituzione a me, è l’autentico successo di questa esperienza enorme.