Il fresco nel letto
Non c’è modo di fermare la mano. Afferro un coltello, lo stringo forte. La mano mi fa male, la mano trema ancora. E pure l’altra mano rimanda sensazioni spiacevoli al contatto con il tovagliolo bianco bordato di blu. Giro il palmo verso l’alto, va meglio. Trema anche il labbro. Ora che ci faccio caso, mi pare di udire i miei denti tintinnare. Non me li sento, a dire il vero. Eppure mi pare facciano tin tin. Se arrivasse la retsina, almeno. Stacco la mano dal coltello e porto il dorso sulla fronte. Sarà il sole, sarà la febbre, non so dire. Non lo so. Alla mia destra c’è una famiglia eppure sono sicuro ci fosse stata una coppia giusto tre minuti fa. C’è una scritta in greco sopra il bancone del ristorante. Un verso dell’Eneide, mi dico. Poi tra i tavoli intravedo il mio professore di epica. Si toglie gli occhiali, sputa saliva e tzatziki nel piatto, bestemmia e mi dice: “l’Eneide è in latino pezzo di merda.” “Mi scusi professore, sono in hangover, ho preso un’insolazione e ho la febbre a 38 almeno. Ho trovato il fresco nel letto, insomma. Mi capisce?” Ma il professore è tornato ad essere un turista danese.
La retsina cazzo.
Una delle cose che mia nonna amava ripetermi da ragazzo, quando facevo marachelle vere o presunte, era che andavo a cercare “il fresco nel letto”. Il fatto è che mia nonna la vedevo principalmente in estate, quindi la metafora del fresco nel letto aveva poco effetto. Ho ricordi vaghi di due sere fa, quando ho iniziato a cercare il fresco nel letto. Ecco, eravamo in questo pub e sedevamo al bancone e la barista cercava di parlare italiano, ma non si capiva una fava, così quello di fianco a me le fa “English maybe is better” e io mi giro e lo guardo facendo un’ellisse con la bocca come a dirgli “Cazzone, questa si offende”. Sai un cazzo dei greci come reagiscono. Per molto meno hanno fatto una guerra che è durata dieci anni. Dieci di guerra, dieci a tornare, sono venti. Non avessero deciso di scriverci su un paio di poemi dimmi te se era quello il modo di buttare venti anni di vita. Ma questa non si offende mica, che magari in Grecia la sua stirpe c’è arrivata dopo e del resto sono passati tremila anni da quella guerra. Solo che continua a parlare italiano e prima ci ridevo su, ma ora mi sono stufato. Allora mi alzo, faccio due passi e subito capisco che è meglio se tra me e il pavimento ci metto una poltrona.
La retsina è arrivata. Io ci spero nel potere medicamentale della Retsina. Però mi trema la mano e ho pure versato un po’ di vino sulla tovaglia. Che ovviamente è bianca bordata di blu. E ovviamente in sottofondo c’è il sirtaki e altra cosa molto ovvia il cameriere mi ha già detto due volte che italiani e greci siamo fratelli, che lo Ionio lo fai anche in barca a remi e pazienza se qui a remi arrivi solamente in Turchia e da casa mia allo Ionio c’è di mezzo tutta l’A14 e un pezzo di A1. Mi porto il bicchiere alla bocca. Bevo, sbavo, qualcosa ingurgito. Mio nonno, che della suddetta nonna era il consuocero, anch’esso diceva quella cosa del fresco nel letto. Tuttavia usava quella frase per le grandi occasioni, tipo se uno era in procinto di fare quella che per lui era una immensa stronzata. Mia nonna invece la usava ogni tre per due. Vado a fare un giro in bici: cerchi il fresco nel letto. E che cazzo. Mio nonno credeva nel potere terapeutico dell’alcool. Non era una scusa per bere senza ritegno. Ci credeva davvero. China Martini, latte e grappa. Raccontava storie a riguardo, del tipo che quando era soldato e si marciava duro e la paura dei ribelli jugoslavi faceva novanta, alla sera una bella scodella di anice e tutto passava. Mi piacevano quei racconti, ma mia madre gli diceva di piantarla lì, che non sono cose da raccontare a un ragazzo, che poi va al bar e le fa anche lui e si pensa pure svelto. Io dicevo “impossibile, qui non ci sono i ribelli jugoslavi” e credevo di far ridere, ma nessuno rideva, nemmeno mio nonno che speravo fosse dalla mia. Ecco, a ripensarci venti anni dopo era una battuta di merda. Venti anni sono importanti. In vent’anni si capisce se una battuta faceva cagare, ma pure che buttare su una guerra dall’altra parte dell’Egeo per una donna è un po’ da coglioni.
Non contento della serata da leoni, oggi ho avuto la brillante idea di andare al mare. Il sole greco non fa prigionieri né ombre. Picchia soltanto. Ho già un bel colorito, mi sono detto, ce la farò. Non ce l’ho fatta. Mi sono reso conto che non ce l’avrei fatta mentre parlavo con un gruppo di inglesi. Non mi interessava niente di loro, volevo solamente parlare un po’ in inglese. C’erano tre che sembravano una coppia. Erano sotto un ombrellone bianco bordato di blu. Bello il vostro kid. Non è il nostro kid, è il mio kid. Suo di lei, intendeva. E daddy? Niente daddy, il kid è mio e me lo gestisco io. Ah, il kid è tuo. Beh, e quel bell’imbusto che c’hai di fianco che fa? Il seme è suo o di un altro tizio del Derbyshire? Ecco, è in quel preciso momento che ho capito non ce l’avrei fatta. Mi è salito tutto. E poi la pelle, la pelle Dio mio come scottava. Va beh, bello il kid ho detto. Tienitelo stretto, mi raccomando. Poi mi sono sdraiato e stavo così male che mi sono detto: se crepo chi se ne frega. Meglio crepare che soffrire come un cane. Questo è il fresco nel letto. Ci ho messo un po’ a trovarlo.
Ho mangiato anche la moussaka. No, la moussaka l’ha mangiata un tizio con due baffi corvini che desinava nel tavolo a fianco al mio e talvolta sorrideva. O forse era la moglie, quella con una permanente fine anni ottanta che mi ha fatto nostalgia di quando ero marmocchio. Non lo so, qualcuno l’ha mangiata, io no. Cosa ho mangiato non me lo ricordo, ma sono sopravvissuto alla febbre, alle tovaglie bianche bordate di blu, all’hangover, alla retsina, alla guerra greco-gotica, al sole dell’Olimpo, al fatto che siamo un solo popolo che parla due lingue diverse o una cosa del genere. Ho trovato il fresco nel letto e ho avuto tanto freddo. Ma ce l’ho fatta. La strada è buia, rigagnoli di acqua e detersivi ai lati. A destra e sinistra bar. Proseguo. Una piazza con due panchine e un ATM. Un albero anche. Ci sono dei ragazzini, tredici anni al massimo. Loro non cercano il fresco nel letto, non ancora. Voglio tornare indietro, voglio tornare a quella età. Voglio fregarmene se non sono il più bello e il migliore in tutti gli sport. Voglio tornare lì, riscoprire tutto da capo, voglio essere il fanciullino di Pascoli. Voglio il letto caldo. Qualcuno venga a prendermi. Guardatemi su questa panchina, guardate questo figlio del Dio che S. Paolo propagandava in giro per Atene. Un amico, dove sono finiti quelli che erano con me? Hanno preso altre strade? Ma forse quella è un’altra storia. Mi sembra di sentire una canzone che conosco. Mi stringo nelle braccia e piego il corpo a destra. Aguzzo l’orecchio e devo aver proprio una faccia da cazzo in questo momento. E’ Modern Love. Bello, adoro. Però mi sa che me la sento ancora la febbre. David, chissà quante volte c’hai dormito te dalla parte fredda del letto, nevvero?
Allora mi piego su me stesso e guardo le scarpe e una formica che traccia imperscrutabili sentieri tra esse. Aspetterò i miei amici. Qui mi hanno detto. Altrimenti se non loro va bene anche Milziade. Anzi, se è Milziade è meglio. Vieni Milzy, vieni con me che appena mi ripiglio andiamo a spaccare il culo ai persiani. Porta una spada anche per me che a Orio al Serio la mia se la sono presa due spie persiane travestite da vigilantes.
A Rodi fa caldo, ma io ho freddo. L’ho trovato, nonna. L’ho trovato.