Italiani olimpici
Siamo ancora in piena euforia olimpica. Giustamente. Erano decenni che non si vedevano trionfi del genere. Abbiamo detto molto più della nostra in specialità di “lusso”, di quelle simboliche delle Olimpiadi. Siamo stati più deboli del solito in quelle storiche per le nostre competenze, come la scherma, la pallacanestro o la pallavolo. Ma vinciamo cinque medaglie d’oro nell’atletica. Una cosa che non poteva immaginare neppure il più sfrenato ottimista.
Ma forse alla stampa è sfuggito un insignificante particolare che ha modificato per sempre la nostra società. In realtà tutto era già successo da tempo, ma ora l’effetto è stato visivo, palpabile, tangibile. Siamo diventati membri di una società più complessa di prima, e non eravamo certo una società semplice. Cosa mai avrà a che vedere uno Bolzano con uno di Trapani? O uno di Aosta con uno di Lecce? Senza voler parlare dei contrasti di vicinato. Come l’amore sconfinato di un pisano con un livornese o un fiorentino con un senese… e così via per tutta Italia, compresi i contrasti tra quartieri.
La nostra forza culturale è sempre stata la diversità, la fusione di mondi diversi, con provenienze lontane, con invasioni di ogni tipo da millenni. Questa è l’Italia, percepita nel mondo come una entità unica, che noi sappiamo composita, anche spezzettata, maldicente, ma alla fine in una sola immagine, come un ritratto puntinista.
E così vediamo un tizio nato a El Paso, da padre americano e madre italiana, venuto da noi a meno di diciotto mesi: non parla inglese, ha un bell’eloquio e non fa che parlare dell’Italia e della sua bandiera. Nello stesso gruppo un giovane nato in Italia, e diventato italiano dopo diciott’anni. Anche lui parla di inno di Mameli e di bandiera con emozione. Piccola notazione: ambedue non hanno un colore “ariano”. Saltano e si abbracciano con gli altri due con i quali hanno vinto la 4×100, roba di solito da americani, jamaicani e compagnia bella.
Ma se si scorrono gli altri sport si scoprono altri personaggi simili: italiani di altri origini. Tuttavia è difficile, diciamo, trovare nella nostra storia un italiano che non venga da altrove. Per i romani non contava da dove venivi, ma se eri cittadino romano. Questo principio millenario e bellissimo è stato corroso nel secolo scorso, che tra gli altri guai ci ha regalato anche il razzismo ”scientifico”, che nella sua forma stupida diventa ansia per la diversità. Ogni italiano è arciconvinto di essere originale, insolito, unico. Ma trova insopportabile che possa esserlo un altro, e lo guarda con sospetto e anche con qualcosa di più.
Questa Olimpiade che ci ha mostrato che i cinque cerchi colorati li abbiamo in casa, ma avvolti in una nube azzurra, quella che non possiamo chiamare cultura italiana, o nazionale, anche se nessuno di noi saprebbe definirla, se non sommando le diversità, storiche, linguistiche, gastronomiche, caratteriali, economiche, culturali e tutto ciò che si vuole aggiungere.
Siamo uno Stato fatto ora anche di tante etnie. Ma uno Stato forte sa trasformare tutte queste diversità in una unica realtà, quella italiana. E questa diversità ci salverà dalla stupidità pseudo autoctona.
Dobbiamo essere tutti italiani. Ciascuno a modo suo, ma italiano.