L’incidente
Alla fine la vita è un grande caos. L’incidente ti soffia sul collo, ti insegue, ti offusca la vista, rende insicuro il tragitto e incerto l’esercizio della scelta, quasi nulla di ciò che avevi previsto si compirà come sperato. L’incidente è sempre in agguato. L’incidente è la consuetudine.
Il professore A. Dolfuss respirava il caos, quella confusione che attorciglia certezze e paure e che blocca il pensiero e l’azione. Lui immaginava che un filo invisibile legasse ogni cosa, con un prima e un dopo, fili che s’intrecciavano goffamente tra di loro creando il tempo presente, invero un tempo ingarbugliato, bizzarro, ingovernabile, un tempo non forgiato dalla volontà che s’imponeva prepotente nella vita degli uomini, in particolare nella sua.
“Va come deve andare…” Diceva rassegnato il professore!
Veloce risaliva la strada affollata percependo tra la gente aria di festa. Lui andava e respirava con regolarità, un respiro profondo, ritmato dal passo lesto, mentre dai vicoli laterali s’improvvisava il quotidiano teatro cittadino. Smarrito, il professore, non distingueva con esattezza se la strada intrapresa andasse nella giusta direzione, via di qui, poi via di là, in fondo a sinistra, forse a destra, caos nella mente e nelle gambe. Dritto, dritto, dritto e poi indietro e poi ancora indietro. Mulinava a vuoto. In verità, da qualche anno la confusione dominava i suoi pensieri; oppure era la città che mescolava, tra luci e ombre, tra salite e discese, tra piazze e viali, le sue paure?
Una difficile notte, anche l’ultima notte, in tempi già disagevoli. Si era alzato dal letto, non ricordava più quante volte: cucina, acqua, bagno, bagno, cucina, acqua, letto, letto, cucina, acqua, bagno, letto. Dormiva poco, beveva molto latte d’avena inzuppando pane ai cereali raffermo e frullati di basilico pinoli aglio olio, mangiava pomodori e peperoni crudi. Anche quella notte aveva dormito solo tre ore. Poi la telefonata del suo editore:
“Dolfuss, venga in via Neganega 21, mi porti la bozza”.
Ben inteso nulla di straordinario, una giornata normale in cui doveva impegnarsi soltanto a fare ciò che doveva fare: andare da qui a lì e consegnare la bozza del suo ultimo libro. Facile. Ma nulla è così semplice!
Niente di tragico, il romanzo era finito e bisognava soltanto mettere le centotrentaquattro pagine dentro una busta, scrivere una dedica d’intesa e consegnare il tutto all’editore in Via Neganega 21, “entro le diciassette!”
Ombre sui palazzi disegnavano i profili della sua corporeità, ombre sbiadite, visibili soltanto a lui, sbagliava strada, tornava indietro e ripartiva. La città festeggiava il caos tra giochi di fuoco, mortaretti e pistolettate; le vie, ingombre di monopattini elettrici e spazzatura, sembravano in preda ad un assalto gioioso, come fosse il primo o l’ultimo giorno dell’anno. Lui tornava indietro e ripartiva.
“Entro le cinque del pomeriggio, deve essere puntuale!”
Ancora una volta, disperso tra i vicoli laterali del Viale e concentrato bene bene sui quei pochi punti di riferimento costituiti dalle cupole verdi, azzurre e gialle delle chiese, verso lì si diresse. Ma al professore A. Dolfuss tutto appariva distorto. Il fatto era semplice, non riconosceva più la sua città, ancora una volta si era perso.
Sudava ed erano passate ore, molte ore, il pacco del manoscritto gli pesava e forse qualche foglio era già scivolato via dalla busta, dal controllo scoprì che erano rimaste solo la metà delle pagine. “Bene! Bene!”, si disse, sedendo sul bordo del muretto che fiancheggiava il porticciolo ed iniziò a respirare. “Respira, fuori l’aria, respira, fuori l’aria…”
Gettò nel cestino i rimanenti fogli, eccetto la prima pagina con il titolo “IL SEMAFORO” e altre con l’indice dei capitoli, quindi ripiegò i quattro fogli rimasti conservandoli nella tasca della giacca. La luce era nemica, il forte vento caldo infuocava le scarpe, bolliva la terra, cuoceva al sole la sua carne.
Tutto era possibile, ogni cosa aveva una ragione di essere, ricordava i giorni trascorsi al mare, lì a conquistare a nuoto la boa rossa e bianca e ritornare stanco ma soddisfatto, e poi la chitarra, le canzoni di De Andrè, i tramonti e le stelle e la luna che era soltanto la sua luna, la loro luna e poi…
Un coccodrillo attraversò la strada! Aprì la grande bocca, mostrò i grandi denti, alzò la testa e gli andò incontro.
La notizia apparve dopo due giorni sul giornale della città, un brevissimo articolo di spalla di appena cinque righe.
Foto: Flora Westbrook da Pexel
Danis Sanchez da Pexel
Eric Chen da Pexel