Controvento, quattro monologhi all’Orto Botanico di Napoli
È un bel problema andare controvento, per chiunque, che si tratti di una nave di alto tonnellaggio o di una barchetta a remi, sempre di iattura si tratta. Per la rassegna “Storie al verde”, ho assistito a Controvento, che chiude le produzioni itineranti del Teatro Tram, in un luogo storico e sempre suggestivo come l’Orto Botanico di Napoli, grandiosa opera voluta dai Borbone, quando la città rivaleggiava con le più grandi capitali europee.
Quattro monologhi, per opera di quattro attori, ognuno con il suo personale palcoscenico ricavato direttamente sulle aiuole. Un modo diverso di fruire uno spettacolo teatrale. Un modo, se vogliamo, più partecipato. Un pubblico che deve trovare il suo punto di vista, letteralmente, una propria sistemazione. Bello, per me, osservare anche questo. Sono del parere cha anche il pubblico faccia parte integrante del cast, per cui, che sia uno spettacolo all’aperto, oppure nel più classico degli enti lirici, non manco di osservarlo. E così ho notato lo spettatore più sfrontato, quello che quasi si sistema accanto all’attore, quello più defilato, messo dietro un albero, quasi in disparte, quello che si siede a terra, come fossimo ad un falò del liceo. Che bello poter godere di tutto questo, copione non scritto ma assolutamente coerente e godibile.
Gli spettacoli teatrali hanno sempre il potere di raccontare una storia che poi si spezzetta in mille, diecimila, una per ogni spettatore.
Non mi soffermerò sulla bravura o meno degli interpreti. Si tratta di semplice gusto personale. A mio avviso, già ricordare a memoria un intero monologo, senza dimenticare nulla e senza incespicare, ti candida automaticamente ai massimi riconoscimenti esistenti nel mondo del teatro. Ma parlo per me, che ho appunti ovunque, anche per ricordare che devo fare la spesa. Pensate, non è la fame che mi spinge ad andare al supermercato, quanto il foglietto appiccicato al frigorifero (sic)!
Gli spettacoli teatrali hanno sempre il potere di raccontare una storia che poi si spezzetta in mille, diecimila, una per ogni spettatore. Le suggestioni, le provocazioni arrivano a noi spettatori con modulazioni diverse, per cui vi racconterò le mie impressioni, quelle che mi hanno fatto apprezzare l’impegno di tutto il gruppo, dall’autore, agli attori, alla produzione, alla regia.
I quattro personaggi interpretati non hanno bisogno di presentazioni. Sono nomi oramai entrati nella storia, oggetto di studio da sempre e per sempre. La janara, donna temuta ma allo stesso tempo ammirata, osservata, capace di incutere mille curiosità, figura coraggiosa, che non arretra e proprio per questo ritenuta da sopprimere. Ad interpretarla, Angela Bertamino, che ho rivisto con piacere dopo “Indomite”, lo spettacolo andato in scena a Casa Tolentino, che ancora una volta ha confermato bravura e autenticità di mestiere. Giambattista Della Porta, scienziato, condannato al rogo in quanto eretico, qui portato in scena da Antonio d’Avino, Eleonora Pimentel Fonseca, donna di grande coraggio, napoletana per scelta, maestra delle parole e di un pensiero nuovo che fu sgradito assai, figura avanti anni luce rispetto all’attuale condizione femminile, che ha avuto la voce e i lineamenti di Federica Flibotto, ed infine il nolano per eccellenza, Giordano Bruno, anche lui consegnato alle fiamme da una chiesa che ha sempre fatto prima politica e poi tutto il resto, raccontato dalla recitazione di Giuseppe di Gennaro.
Mi ha colpito in particolare che tutti gli attori fossero scalzi. Mi è piaciuta molto questa cosa. Mi ha dato la misura di quanto fossero radicate le idee dei personaggi, di quanto credessero nelle loro azioni, tanto da pagarle con la morte. I pedi al suolo, come radici, come legame viscerale con il luogo in cui si agisce. Mi ha emozionato questa scelta.
Quattro personaggi diversi tra loro, non sempre contemporanei, eppure con un destino comune, la morte violenta, per mano di chi dice, millanta di mantenere l’ordine, il decoro, giusto per dare una spiegazione accettabile dei propri delitti, affinché nulla cambi, affinché il potere rimanga indiscusso fra pochi eletti. Diceva la stessa cosa Tomasi di Lampedusa, negli anni 50 del 900, riferendosi a circa un secolo prima. Una janara, uno scienziato, un filosofo, una giornalista. Tutte persone capaci di vedere al di là di una visuale miope, pericolosi perché affascinanti, capaci di incuriosire, spostare le menti da un focus stantio ma comodo a molti. Strano a dirsi, ma quanta attualità nei quattro testi, peraltro davvero belli, di Gennaro Esposito. E mi sa che l’autore proprio del contemporaneo voleva parlare, prendendo a prestito riferimenti classici.
Uno spettacolo con un grande pensiero sottinteso che ancora una volta dà la misura del valore culturale del teatro, ben al di là del semplice intrattenimento. In un periodo storico in cui coloro che fanno informazione, cultura, a partire dai grandi giornali, corrono solo dietro alla pratica del clickbaiting, forse un gran ristoro arriverà proprio da questo tipo di produzioni. Da parte mia complimenti al Teatro Tram per il coraggio della sua follia buona, visionaria, quella che guarda oltre, perché oggi è proprio questo che manca. Perché la nuova, merdosa inquisizione sta avanzando. Buon controvento!
Abbiamo visto Controvento al Real Orto Botanico di Napoli
Una produzione teatro Tram per la regia di Gennaro Esposito
Interpreti Giuseppe Di Gennaro, Antonio D’Avino, Federica Flibotto, Angela Bertamino
Si ringrazia l’ufficio stampa