Indomite ( Ind’o mit)
Quando esco per andare ad un accredito stampa, faccio tutto il percorso con un grosso punto interrogativo in testa. Mi chiedo continuamente cosa mi aspetta, e non importa se sul palcoscenico ci siano nomi conosciuti o giovanissimi debuttanti. Di noia a palate ne hanno dispensata tutti. Questa volta nessuna eccezione, con l’aggravante di penuria cronica di strisce blu ed un navigatore che non mi faceva imbroccare la scalinata giusta per arrivare al luogo in cui si sarebbe svolto lo spettacolo.
E poi però…
lo stupore, che non smette mai di farmi sentire dentro un languore di riconoscenza verso questa città, Città che senza sosta, mi svela periodicamente un posto magico. Mi è sembrato quasi un labirinto: prima scale di fronte, poi a destra, poi devi attraversare quella che fu una chiesa, poi un ascensore, poi un corridoio e poi, come una ricompensa, la luce bella di mezza sera, un giardino lussureggiante, aromi di resina e foglie e sulla sinistra il mare. Immobile visto da lì, denso, scuro e pacifico. Sotto costa un bastimento col “gran pavese” illuminato, all’orizzonte la sagoma inconfondibile di Capri. E di fronte a tanta bellezza, per me poteva finire pure lì. Poteva bastarmi stare seduto a guardare, a studiare le luci delle barche, forse un caffè, amaro, dell’acqua e il silenzio del giardino di Casa Tolentino. Evidentemente, invece, l’ordine cosmico prevede un riconoscimento per chi ha avuto una domenica non proprio serena, per cui una manciata di minuti dopo, il gentile pubblico pagante, tranne me, è stato chiamato a seguire una garbatissima incaricata del Teatro Tram. Siamo arrivati sul prato, e neppure ancora avevo capito come si svolgesse la cosa. Lo confesso, avendo accettato questo incarico in corsa, non mi ero particolarmente soffermato sul comunicato stampa. Ci chiede di disporci a semi cerchio, io ancora non afferro, quando d’un tratto arriva lei, alle spalle del pubblico.
Buca la barriera di persone e si piazza al centro della scena. E lì capisco che stavo assistendo a qualcosa di potente, fatto bene, scritto bene, recitato finalmente come si deve, da chi ha padronanza del linguaggio verbale, del linguaggio del corpo e dei pochi oggetti di scena a disposizione su di un palcoscenico tanto spartano, come può essere il prato di un giardino. Cloto-Angela Bertamino ci racconta del suo lavoro in una fabbrica tessile, dove sono impiegate anche le sue sorelle. Ma dopo aver cantato una canzone, con voce superba, mentre si cambiava d’abito dietro un cespuglio, ha spiegato a noi pubblico, che oggi le Moire, il filo della vita lo spezzano, tristemente, a sé stesse. Bellissimo omaggio a Luana D’Orazio. Vorrei arrivasse ad Angela un mio personale applauso da qui, dalla mia scrivania. Perché tutti, presi dalla sua bravura e dal suo racconto, un po’ anche perché non avevamo ben intuito la dinamica dello spettacolo, ci siamo ritrovati quasi spaesati, tributandole, di sicuro, meno di quanto meritasse, quindi; bravaaaaaa!!! Per inciso, quello che gridava alle colleghe, dopo, ero io.
Ci spostiamo, altro angolo di verde. Germana Di Marino è una giovanissima Persefone, ma potrebbe essere qualsiasi altra donna. Vaga, gira in tondo, è disperata, prigioniera, non vede la luce da tempo. Ha un carceriere che la tiene lontana da tutto. La nostalgia la divora. Implora, prega, ottiene la libertà, ma ritorna, come attratta dalla più potente delle perversioni, alla sua prigione. Veleno, amaro è il suo amore, tossico, la inquina in ogni meandro della sue cellule, immobilizzandola senza legacci. Brava, ancora una volta una splendida attrice, ancora una volta un bellissimo testo. Il pubblico, ormai riscaldato, erompe in un applauso riconoscente, Stavolta si fa trovare pronto!
Incontriamo Medusa-Dolores Gianoli poco distante. Attrattiva, enigmatica, calamitante. Quasi mette soggezione, ma mai, dico mai ti allontaneresti. Lei è Medusa, non hai scampo. Rimani lì e ascolti, qualunque cosa accada. Anche in questo monologo ogni parola ha avuto il suo peso specifico. Un peso importante, di quelli che hanno consistenza, di quelli che possono far male. La bravura della Gianoli? E che ve lo dico a fare, spero la incontriate presto in altre occasioni. Va ascoltata, vista, non raccontata. Nello specifico, mi è venuto in mente di quanto il mito, che pur si studia a scuola, sia potente ma allo stesso tempo, troppo spesso, svuotato del suo significato. Dolores parla dei suoi capelli, dei suoi veri capelli, kinky, bellissimi. Medusa ha serpenti sulla testa. A quanti di noi è stato spiegato che i serpenti di Medusa sono, a tutt’oggi, i capelli kinky di Dolores? Che senso hanno determinati studi se non se ne coglie il potere simbolico, metaforico e universale?
L’ultimo incontro lo facciamo con Euridice, esempio del vero talento, del vero valore, della vera struttura che sorregge, spesso, uomini di carta velina, tratteggiata di ridicola vanità. Euridice coltiva sé stessa, Euridice attribuisce senso a ciò che fa, Euridice riesce ad avere “una stanza tutta per sé” per dirla alla Virginia Woolf. Ma non può oscurare la fama di Orfeo, mai, pena la morte, accidentale, chissà, ma pur sempre morte. E di quante Euridice la cronaca parla. Dalle più famose, a quelle dimenticate da tutti quando ancora erano in vita. Non ho idea se esista qualcosa, dopo, ma ho piacere di pensare che almeno per tutte le Euridice del mondo, sia davvero possibile. Titti Nuzzolese ci restituisce il personaggio con dovizia, delicata a tratti, decisa e severa in altri. Ha saputo miscelare con sapienza momenti enigmatici, quasi misterici a momenti più aperti, in cui il suo personaggio chiedeva compassione per la sua triste storia. Applausi sinceri anche per lei.
Indomite si chiama lo spettacolo, giocando con il dialetto di Partenope, “Ind’o mito”, dentro al mito. Io sottotitolerei questo spettacolo “potenza”, perché questo ho visto, in tutti i suoi aspetti: dalla recitazione, alla regia, alla scrittura. Il mito classico riscritto che ci ha raccontato della condizione femminile difficile da sempre, tanto che una storia di secoli e secoli fa, risulta ancora attuale come se fosse stata raccontata un minuto prima. Belle queste donne, tutte, perché fanno bene ciò che amano fare. perché lo fanno per liberissima scelta, perché hanno coraggio di essere femmine. E già, perché anche di questo c’è bisogno. Il maschilismo non è questione di genere sessuale, è una forma mentale, che può appartenere a chiunque, anche a tua madre. Questo è il punto. E allora, essere femmina diventa una missione, una lotta, un progetto, un sogno. E può essere di tutti.
Ho avuto il piacere e l’onore di assistere a
Indomite (Ind’o mit)
nel giardino di Casa Tolentino
per la regia di Angela Rosa D’Auria
testi di Maria Laura Amendola, Rosa Pascale, Marina Salvetti, Silvana Totaro
con Titti Nuzzolese, Germana Di Marino, Angela Bertamino, Dolores Gianoli
nell’ambito della rassegna estiva “Storie al verde” del Teatro Tram di Napoli
Prossimo appuntamento
27/28 luglio 2021 – CONTROVENTO
Orto Botanico, via Foria 223 Napoli
Orari degli spettacoli: 19.30 – 20.45 – 22.00