Pericle coda storta e bastardo – VIII – L’ascolteranno gli americani
– Alza la radio – disse, ma nessuno fece nulla perché non c’erano altri che lui e Pericle. Si voltò verso il bancone del bar. Constatò due cose: che i contorni degli oggetti erano assai sfocati e che, appunto, non c’era più nessuno. Esclamò un paio di vocali, quindi si voltò e portò la mano destra a grattare i baffi, mentre la sinistra roteava lentamente un bicchiere da amaro sul tavolino presso cui era seduto.
– Ah – esclamò di nuovo – che ti devo dire, ascoltala tu – disse rivolto a Pericle – ascoltala tu – ripetè e quindi svuotò il bicchiere. Con flebili movimenti di testa e labbra e talvolta picchiettando con le dita sul tavolo accompagnò la canzone. Pareva cercare il momento giusto per agganciarsi al testo con la voce, ma forse le parole troppo veloci, forse la poca memoria gli consentirono di cantare solamente il ritornello – ….l’ascolteranno gli americani che proprio ieri sono andati via…. – e poi nuovamente movimenti di labbra e sillabe smorzate.
Parimenti al modo di cantare, era un uomo che non aveva mai trovato il tempo giusto per fare ciò che nella vita avrebbe dovuto fare. Cleone, questo il suo nome, aveva ereditato un bar che non voleva gestire. Il tempo di sistemare due cose e vado in America, disse il primo mattino del primo giorno, ma erano passati venti anni e ancora gestiva un bar sordido sulla riva del fiume cittadino, preda di topi, gatti umanità per lo più non di prima scelta. Aveva amato una donna per quindici anni senza mai possederla, gli aveva offerto colazioni, aperitivi senza mai dichiararsi finché un giorno gli aperitivi li offrì anche al fidanzato. Che poi divenne marito e padre di due bambine a cui Cleone la domenica offriva la brioche. Gli rendevano possibile la sveglia ogni mattina solamente discorsi vani su futuri viaggi in America. E tuttavia Cleone non aveva mai preso l’aereo e non era nemmeno uscito dai confini nazionali. Una sola volta era stato lì per partire. Ma poi il padre gli aveva messo il muso per via del bar e Cleone aveva desistito. Questo era Cleone: uno che cercava un aiuto per rimandare e sempre lo trovava. I suoi discorsi non li ascoltava più nessuno oramai. Anzi, no. Pericle.
Un anno e mezzo prima, appena giunto in città, Pericle passava le giornate sdraiato sulla fioriera del balcone osservando il nuovo orizzonte. Che, va detto, gli parve fin da subito alquanto limitato. Nessun albero, nessuna montagna, nessun fiume. Sempre il solito enorme palazzo giallo. Mangiò poco, smagrì, in definitiva si lasciò investire da una situazione che non aveva scelto ma solamente subito e da cui non aveva nemmeno una gran volontà di cavarsi. Alessandra pensò di curare i suoi malesseri appendendogli una targhetta con il nome al collo e facendolo diventare una star dei social con l’hashtag #codastorta, ma quel gatto era così triste e malmesso che la ragazza addirittura perse alcuni follower. Finì per ammalarsi. Apatico, smunto, fors’anche un po’ spelacchiato, diceva qualcuno in casa. Arrivò al punto di non mangiare per due giorni e dormire solamente. Quindi, quando tutti in casa lo davano per prossimo alla dipartita e già si discorreva se seppellirlo in un giardinetto, al paese d’origine oppure cassonetto d’immondizia e tanti saluti, Pericle decise di giocarsi la sesta vita e si aggrappò a quella che era stata una delle più grandi passioni fin dai primi giorni di vita: osservare gli umani.
Tolomeo, fratello di Alessandra, era quello che lo incuriosiva maggiormente. Era un ragazzino di quattordici anni, tanti brufoli e ancor più parolacce. Aveva recentemente imparato a bestemmiare e lo faceva con la confusa creatività di chi approccia l’arte da autodidatta. Il frutto del suo ingegno era elargito ai fruitori in messaggi vocali di venti e talvolta più secondi di inenarrabili e vereconde oscenità. Occorre dire che aveva soprattutto nella chat di classe un suo fedele seguito che rispondeva compiaciuto alle performance. Quando rimaneva in casa da solo, appena la porta si chiudeva e l’ultimo familiare era uscito, Tolomeo correva in bagno, prendeva un rotolo di carta igienica e quindi si precipitava al computer. Seguivano gesti compulsivi del braccio destro e strani mugugni provenienti dal Pc. Tutte cose che Pericle non riusciva a decifrare. Poi Tolomeo si accorgeva della presenza del gatto e subito lo apostrofava in tal modo – Che c’hai da guardare sempre gatto di merda? Cazzo sei un guardone? – quindi prendeva il telefono e raccontava il fatto ai suoi amici. Non nella chat di classe, che certe cose alle femmine era meglio non farle sapere.
Chi trattava Pericle meglio di tutti era la madre, Cleopatra. Il marito se n’era andato due anni prima con una donna che non aveva alcun profilo su qualsivoglia social. Al che Cleopatra aveva dovuto lavorare di fantasia. Una donna più giovane, aveva creduto. Ma poi un’amica gli disse che no, anzi, giusto un paio d’anni più della moglie. Allora si era persuasa che non avesse figli, che a differenza di lei fosse una donna libera da impegni e pronta a fare le ore piccole e girare il mondo in lungo e in largo. Ma niente, sempre la stessa amica era venuta a sapere che aveva due figli e uno pure assai problematico. Una piena di soldi, forse. Macché: un’altra amica ancora gli aveva detto che di soldi lì ne giravano assai pochi, che la donna si doveva arrangiare alla bell’e meglio tra lavori part time e assegni di mantenimento.
Iniziò per Cleopatra una serie di tentativi di uscire dal tunnel dell’abbandono: app d’incontri, palestra, yoga, aperitivi, selfie procaci, infine il gatto. Ma il rapporto con Pericle si limitava a viziare oltre modo un gatto a cui di essere viziato interessava meno di niente. Aveva però ottenuto di poter uscire ed entrare in casa a suo piacimento. E fu la svolta per davvero.
Un giorno di primavera, uscito di casa, aveva battuto le solite strade di sua conoscenza. Quindi aveva visto un gatto. Era un gatto grosso e grigio. Pericle lo aveva seguito. Gli capitava spesso di seguire i gatti grigi, forse nella vaga speranza di ritrovare colui che da tempo esisteva solamente nei suoi ricordi. Poi il gatto grigio era scomparso, ma Pericle aveva trovato qualcosa di più importante: un fiume. Una grande distesa d’acqua attraversava la città. Il gatto scese nel greto e si avvicinò all’acqua. Appoggiò il sedere sulla riva e rimase a contemplare il placido fiume che lento scorreva tra le case e sotto i ponti. Ma delle case e i ponti a Pericle interessava poco. Nei tempi bui e in quelli felici il fiume c’era sempre stato. E ora non vedeva un fiume da un anno, da quando era stato trasferito in città. Si levò e percorse la riva del fiume. Arrivò nei pressi di un bar che stava giusto sull’argine del fiume. Incuriosito si appropinquò tra i tavolini all’esterno del locale. Era il bar Salamina. Era il bar di barcaioli, fiumaioli e fumaioli, forcaioli, perdigiorno, topi e roditori acquatici, gatti bastardi e talvolta pure gente normale.
Iniziò a frequentare quel posto ogni giorno. Entrò in contatto con altri gatti, divenne la mascotte del bar. Da bravo abitudinario quale era, si trovò un posto dove passare la maggior parte del tempo: un grande sasso piantato nel terreno al limitare dello spazio dedicato ai tavolini. Qualcuno più colto della media dei frequentatori del bar ebbe gioco facile nel chiamare quel sasso l’aeropago di Pericle. Spesso era l’ultimo ad abbandonare il bar e rimaneva ostaggio degli sproloqui depressivi di Cleone. Ma Pericle non poteva capire quell’infinita serie di promesse mancate, speranze frustrate, futuri invecchiati male. Trovava, anzi, quella voce ormai priva di entusiasmo assai rilassante.
– A me basta un’occasione, Pericle. Una sola occasione e giuro la Madonna che stavolta svolto per davvero. Te lo giuro, Pericle – si fermò per un singhiozzo, che quando alle scelte rimandate univa gli amari finiva sempre per piangere. Si passò il palmo della mano sul naso e poi a ravvivare i capelli rossastri. Prese in mano il telefono e con gli occhi lucidi scorse la timeline per vedere le notizie. Si soffermò su un articolo che pubblicizzava un soggiorno negli Stati Uniti d’America con possibilità di fare corso di barman, di lingua e pure stage lavorativo.
Cleone lesse l’articolo. Quindi appoggiò il cellulare e disse – Magari l’anno prossimo, perché no – quindi appoggiò il gomito sul tavolino e il mento sul pugno e guardò alle case oltre il fiume. Sulle facciate era sceso il crepuscolo, mentre in questo versante del fiume un ultimo sole regalava i suoi raggi a Pericle e Cleone. Il gatto chiuse gli occhi nel preciso istante in cui terminò la canzone.
–…E forse attraverserà l’Oceano lontano da noi l’ascolteranno gli Americani che proprio ieri sono andati via, o Serenella ti porto al mare, io, ti porto via…– canticchiò Cleone.
Pericle si addormentò. Ultimamente gli capitava di sognare il gatto grigio. Percorrevano il fiume di questa città, uno di fianco all’altro, come al paese anni prima. E anche se al suo risveglio non c’era nessun gatto grigio, questi sogni lo lasciavano comunque sereno.
Dopo l’età d’oro, era probabilmente il periodo più sereno della sua vita.
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