Punto e virgola – Dicevano fosse una buona amica
Camminavo spensierata per Milano quando una ragazza – magra, magrissima – mi si è fermata davanti, mi ha sorriso e mi ha abbracciata forte. Quando ci siamo staccate, ho notato che aveva legato il mio polso al suo con un sottile filo rosso.
Ho proseguito la mia passeggiata e lei, ormai, era con me. La vita insieme a lei all’inizio era bella e piacevole: mi toglieva il cibo in eccesso dal piatto, mi faceva fare attività fisica e mi faceva prestare attenzione all’aspetto fisico. Cose che fino a quel momento erano state secondarie nella mia vita. Con il passare del tempo, però, la convivenza è diventata opprimente.
Di notte non mi faceva riposare, mi costringeva a lunghe, lunghissime passeggiate, mi toglieva tutto il cibo che volevo mangiare, mi faceva stare ore e ore davanti allo specchio, mi rimproverava, mi obbligava a pesarmi più e più volte al giorno e ad annotare tutto. Veniva in università con me e, anche lì, non mi dava tregua: durante le lezioni mi toccava le gambe e me le faceva muovere in modo ripetuto, durante le pause al distributore doveva prendere sempre del caffé macchiato amaro e in pausa pranzo voleva mangiare solo una mela. Ad un certo punto tutto quello che voleva lei era diventato anche quello che volevo io. Voleva l’esclusiva, niente amici o uscite, niente divertimento o svago: solo la sua compagnia. Mi costringeva a cose assurde a cui io non mi sottraevo: le assecondavo. Andavamo spesso lungo i Navigli all’ora dell’aperitivo e annusavamo il profumo del cibo per sentirci sazie, oppure andavamo al supermercato e facevamo spese enormi per poi arrivare a casa sistemare tutto e non toccare mai nulla.
Le persone intorno a me iniziarono a notare la sua presenza. Quando è entrata nella mia vita, nessuno sembrava averci fatto caso: tutti mi dicevano che ero più bella e in forma; durante il giorno la ringraziavo spesso e lei compiaciuta mi diceva che ero brava. Era fiera di me.
Non tutto però era così bello. Tutti intorno a me all’improvviso cercarono di tagliare quel filo rosso.
Chi in un modo, chi in un altro, ci provavano sempre. Io mi chiedevo cosa volessero realmente e perché quel legame li spaventasse così tanto.
In fondo era la mia vita e loro non avevano il diritto di decidere.
Ero sorda ai mille discorsi che mi facevano, lei dopo ogni sermone mi ripeteva di non ascoltarli, perché gli altri erano solo invidiosi della mia magrezza, della mia perfezione all’università e, soprattutto, del nostro rapporto.
In fin dei conti, credevo davvero a quello che mi diceva e questo mi dava forza per perseguire i miei obiettivi: sveglia presto la mattina per allenarmi, correre all’università, camminare in pausa pranzo, studiare in piedi e camminare mentre ripassavo le materie d’esame, pesarmi, controllare, ed eseguire i suoi ordini. Più passava il tempo, però, più i problemi del nostro rapporto venivano a galla.
Iniziai a capire che forse non era poi così giusto tutto quello che avevo acconsentito di fare, che c’era qualcosa di strano e di malsano; ma lei era con me e mi incoraggiava: perchè avrei dovuto smettere? In fondo mi aveva portato dei benefici e le dovevo essere grata.
Poi qualcosa si ruppe. Iniziai ad avere delle strane sensazioni: sentivo la pelle delle cosce strapparsi, sentivo nella testa qualcuno che urlava ma non usciva alcun suono, avevo la voglia sfrenata di camminare fino a non avere più la forza di tornare indietro, non riuscivo più a fermarmi dal fare attività fisica. L’equilibrio precario che si era formato non esisteva più, c’era solo un grande disagio dilagante e in tutto ciò lei era sempre lì e, per la prima volta, nella disperazione più assoluta, colei che fino a quel momento mi era sembrata l’amica più fedele, l’unica che mi poteva davvero capire, si trasformò nella mia rovina. Mi aveva portato sul baratro, mi aveva spinto con la testa nella polvere fino a non respirare, voleva prendersi la mia vita.
Ho lottato per tagliare quel filo, ma non ci riuscivo – era duro e forte – ma un giorno, mentre ero sola a casa, ho sentito quella presenza urlare nella mia testa come non aveva fatto mai. Nel silenzio di quell’urlo sordo mi sono alzata e ho deciso che quel filo andava tagliato. Così ho preso il mio computer e ho cercato in centro più vicino che mi potesse aiutare. Ricordo che lei mi stringeva le mani e mi pregava di non chiedere aiuto, mi diceva che insieme avremmo risolto tutti i nostri problemi, ma io per la prima volta ho capito che tutto quello che mi ripeteva fino allo sfinimento erano solo menzogne. Ho chiamato quel numero e ho fissato un appuntamento per un primo incontro valutativo della mia situazione.
L’ospedale non distava molto da casa mia, ma quel tragitto mi sembrò infinito. Lei si parava davanti non lasciandomi camminare e, per avanzare anche solo di un passo, dovevo schivarla. Non so neanche io come sono riuscita ad arrivare in quella sala d’attesa. Intorno a me c’erano tante ragazze, ognuna aveva il suo filo rosso legato al polso di un’altra ragazza.
Era piena, affollatissima, quella saletta, mi sentivo soffocare ma sapevo che dovevo resistere. Quando sono entrata lei piangeva e si disperava, ma io non l’ho neanche degnata di uno sguardo e mi sono seduta per la valutazione. Uscita da lì sapevo che avevo imboccato la via giusta.
Di ritorno a casa stava in silenzio e fu per la prima volta dopo tanto tempo che non parlò. Non disse neanche una parola e io assaporai quel silenzio che avevo tanto bramato.
Ho iniziato poi il mio percorso in ospedale, impegnativo, lungo, difficile, ma non ho mai tentato di mollare. Ci sono stati giorni in cui lei era più presente, altri in cui era in un angolo e osservava, in fin dei conti lo sapeva che non sarebbe stata ancora per molto nella mia vita.
Il nostro filo rosso, però, era ancora lì, nonostante i progressi, i tanti progressi: era frustrante. Ricordo che mi preparavo per la discussione della mia laurea magistrale e lei era seduta in un angolo della mia stanza ad ascoltare il mio discorso. Era lì quando ho scelto come vestirmi, era lì il giorno della mia proclamazione, ma io non volevo che partecipasse agli eventi della mia vita.
Non ne faceva più parte, ma era sempre lì.
Un giorno poi ho incrociato gli occhi di un ragazzo – il mio attuale fidanzato. Aveva delle forbici in mano, è venuto verso di me e ha tagliato quel filo. Lui la mia mano non l’ha legata, ma l’ha stretta forte dentro la sua e mi ha salvata.
Lui sa come scacciare i demoni, se salgono a galla.